A cura di don Ezio Del Favero

1 – Il ragazzo e l’avventura sul monte

Su quella pietra antidiluviana si schiuse un'amicizia

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Il 21 giugno, inizio dell’estate, un ragazzo decise di salire sulla montagna che dominava il villaggio dove viveva. Si recò ai piedi del monte e iniziò l’ascensione.

La luce era bella, moscerini e api selvatiche volavano di qua e di là, gli uccelli lo accompagnavano.

Il ragazzo raggiunse un ruscello limpido dall’acqua trasparente e lì sceglie un ciottolo bianco a forma di cuore. Ma nella pace che lo circonda, ebbe l’impressione che qualcuno lo stesse osservando e seguisse i suoi movimenti. A un certo punto si fece un gran silenzio.

Eppure, pur essendo solo sull’enorme blocco di basalto, il ragazzo percepì una voce che sussurrava delicatamente il suo nome. La luce cambiò di nuovo, sembrava sgorgare dalla roccia stessa.  Il ragazzo si tolse i vestiti, rotolò nel lichene, coprendo il suo corpo con fredde goccioline di acqua cristallina. Poi si rivestì, camminò sul muschio, finché non scomparve scoprendo solo la nuda roccia.

Ascese di nuovo, dominando la valle, fino a  raggiungere una faglia alta come una porta. La misteriosa presenza era sempre lì… sentiva su di sé quello sguardo insistente e la voce che sussurrava nel vento.

Il ragazzo si sostenne al muro di roccia, graffiandosi le mani. Aggrappato al fianco della montagna, la sentì dondolare come un grande pendolo minerale. La cima non era lontana, cupola di pietra nera liscia e lucida contro il cielo. Il ragazzo non aveva paura, abitato da una forza che gonfiava il suo potere e gli faceva dimenticare il vento gelido che lo colpiva e lo sbilanciava. Salì su, fino sulla cima del monte.

Raggiunto quell’obiettivo, il ragazzo contemplò l’altopiano, grande cerchio di lava nera senza erba e senza cavità, pietra consunta dal vento nel corso dei secoli. La luce colpiva la superficie minerale, rimbalzava e riaccendeva gli antichi fuochi che dormivano sotto la crosta nera, Osservò le vene rosse come correnti misteriose e antiche, le piccole conche piene di acqua piovana, un arbusto magro…

Poi si sedette sulla dura lava tiepida, sul bordo di una conca, si appoggiò all’indietro e contemplò le nuvole che lo accarezzavano e da cui bevette le goccioline mescolate con la luce.

Il ragazzo era felice ! Scoprì anche la faglia che aveva superato e distinse uno strano insetto sulla parte superiore. Il suo cuore si mise a battere forte, vedendo la pietra che pulsava di luce.

All’improvviso si sentì chiamare: « Ían!»

Era un bambino con un viso chiaro e sorridente, immerso nella luce. « Chi sei ? Vivi qui? », chiese Ían. « Sì, questa è casa mia, non ho padre né madre e neanche un nome. Ma non ho paura di vivere da solo. Gli uomini sono arrivati nella valle e hanno costruito case, villaggi, città, facendo fuggire gli uccelli e i pesci. Anch’io me ne sono andato e mi sono stabilito in cima a questo monte».

Seduti uno accanto all’altro, i due ragazzi parlarono a lungo e giocarono con lo scacciapensieri che Ían portava nella tasca.

Su quella pietra antidiluviana si schiuse un’amicizia. A un certo punto il ragazzo della montagna mise le mani a coppa e le riempì di acqua piovana che poi fece bere all’amico. L’acqua percorse le vene di Ían come una luce. Quell’acqua, che proveniva dalle nuvole e che nessuno aveva contaminato, leniva sia la sete che la fame.

Poi gli mostrò il cielo, la notte piena di luci. L’orizzonte scompariva e le stelle si illuminavano una a una. Sdraiato sulla schiena, Ían sentì il canto primordiale nato dall’immenso spazio prima degli uomini, il fruscio dei ghiacciai, le grida dei getti di vapore provenienti dal suolo, il gocciolare della linfa degli alberi e gli altri suoni che si aggiungevano a questa rapsodia. Ían lasciava il suo corpo galleggiare sopra la montagna. Il bambino senza nome si addormentò e Ían fece lo stesso.

Al risveglio, col sole splendente, il bambino della montagna era scomparso. Ían lo chiamò, invano. La solitudine lo morse. Però adesso doveva discendere a valle, ripercorrendo il cammino inverso. Con una grande gioia nel cuore e la nostalgia di quella cima e del suo amico senza nome.

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Il racconto, raccolto in Islanda, insegna che la vita può riservare delle sorprese, specialmente nell’incontro con qualche persona speciale. Importante è muoversi nella direzione di tali sorprese, anche superando difficoltà e pericoli, come un’ascensione in montagna.