A cura di don Ezio Del Favero

14 – Il montanaro dal cuore grande

Si guadagnava da vivere facendo cappelli di paglia

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Due vecchietti vivevano in montagna, in una casetta costruita con legno, pietra, bambù, corteccia e paglia, secondo la tradizione. Erano sereni anche se poveri e lui si guadagnava da vivere facendo cappelli di paglia, in giapponese “kasa” (). 

Un anno, alla vigilia della festa del Paese, i due vecchietti non avevano nemmeno il denaro sufficiente per comprare la tradizionale torta di riso. Così lui decise di andare in città per vendere alcuni suoi “kasa” giganti. Ne appese cinque sulla schiena e partì. La città era lontana e lui, dopo aver percorso dei sentieri impervi, arrivò finalmente a destinazione. Arrivato in città, girovagò per la piazza urlando: «Cappelli di paglia, “kasa” di paglia; chi vuole questi cappelli fatti a mano?» C’era un sacco di gente in città, impegnata a preparare la festa, a comprare pesce, bevande, torte di riso, per poi tornare in fretta a casa. Nessuno comprava i “kasa” del vecchio, anche perché non facevano parte dei regali previsti per la festa. Il vecchietto camminò tutto il giorno, attraversando la città in lungo e in largo, cercando di vendere i suoi cappelli, ma senza risultato. Verso il tardo pomeriggio, decise di tornare in montagna, purtroppo senza aver venduto nulla e senza aver potuto acquistare neanche una tortina di riso.

Quando il vecchietto uscì dalla città, cominciò a nevicare. Era molto stanco. Stava camminando attraverso i campi tutto infreddolito, quando sul cammino vide alcuni “Jizo”, le tradizionali statue di pietra che rappresentano le divinità che proteggono i viaggiatori. Erano sei statue, sulle cui teste la neve si stava accumulando e sui cui volti si stavano formando dei ghiaccioli. L’uomo, che aveva un cuore grande, pensava che i poveri Jizo soffrissero il freddo. Così asciugò le loro teste, rimuovendo la neve che le ricopriva, e le rivestì con i “kasa” che non era riuscito a vendere, sussurrando: «Questi sono semplici cappelli di paglia, ma accettateli, per favore!» Però aveva solo cinque cappelli e gli Jizo erano sei! Allora si tolse il suo copricapo e rivestì la testa dell’ultima statua dicendo: «Questo è un cappello molto vecchio e consumato, ma ti proteggerà almeno un po’!»

Poi il vecchietto riprese il suo cammino in mezzo alla neve e attraversò i sentieri di montagna.  Quando arrivò a casa, era tutto coperto di neve. Raccontò alla sua cara moglie la vicenda degli Jizo: «… così li ho vestiti con i “kasa” che avevo preso con me e, dato che ne mancava uno, ho dato loro anche il mio cappello!». La vecchietta fu commossa nel sentire quel racconto e si compiacque della gentilezza del marito: «Hai fatto una buona azione e hai fatto bene! Anche se siamo poveri, siamo fortunati ad avere un tetto, un fuoco e un pugno di riso!». Intanto il marito, che aveva freddo, si sedette accanto al fuoco e lei preparò la cena. Non avendo venduto niente, non c’era la torta di riso per festeggiare la Vigilia della festa, per cui mangiarono semplicemente del riso con delle verdure e poi andarono a riposarsi. Nel cuore della notte, i due vecchietti furono svegliati da un coro di voci, che, avvicinandosi alla loro semplice dimora, stavano cantando: «Il vecchietto ci ha donato i suoi cappelli! Andiamo a casa sua, andiamo a ringraziarlo!»

Il vecchietto e la vecchietta furono sorpresi nel sentire quel canto. Poi non udirono più nulla. Si alzarono e aprirono la porta. Sulla soglia erano disposti dei cesti di paglia riempiti di riso, di pesce, di bevande, di tortine di riso, di decorazioni per la festa, di coperte calde, di kimono e di molti altri doni. I due si guardarono intorno ma non videro nessuno. Videro solo in lontananza i sei Jizo che se ne andavano, indossando i cappelli di paglia…

 

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La parabola – raccolta in Giappone – insegna a essere generosi. Richiama il messaggio cristiano che si rifà alle parole di Gesù: «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa».

Recita un proverbio giapponese: «La compassione non è (solo) per il bene degli altri». Ovvero: fare del bene ad altri potrebbe dire anche farlo a se stessi, in quanto può implicare l’idea di una ricompensa futura.