A cura di don Ezio Del Favero

3 – La vecchia baita in montagna

Stavano per bussare, quando furono assaliti da una paura terrificante...

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Tanti anni fa, all’alba, due pastorelli salirono in montagna per portare il loro gregge a pascolare in una valle poco frequentata. Giunti sul posto, le pecore cominciarono placidamente a brucare l’erba e i due bambini si misero a giocare. Presi dai loro giochi, i pastorelli non si accorsero che le pecore erano risalite lungo il pendio, alla ricerca di erba più verde e più fresca.
Quando se ne accorsero, verso mezzogiorno, furono costretti a salire lungo il sentiero per andarle a cercare, avvicinandosi sempre più all’imponente roccia dalle inquietanti sembianze umane che dominava dall’alto la valle.
Dopo aver camminato a lungo, finalmente riuscirono ad avvistare il gregge. La loro inquietudine si calmò, visto che le pecore erano tutte lì e non dovevano più proseguire per continuare la ricerca. Ma subito si resero conto che dovevano affrontare un altro problema, quello di tornare a valle prima possibile, perché presto sarebbe scesa la sera e i loro genitori si sarebbero preoccupati. Corsero verso le pecore per radunarle e scendere a valle, quando si accorsero che da una vicina baita diroccata si elevava del fumo, a indicare che qualcuno aveva acceso un fuoco.

Spinti dalla curiosità, decisero di vedere chi vi fosse all’interno del vecchio rudere. «Forse stanno cuocendo della polenta – si dissero – e un boccone non ce lo rifiuteranno di certo!» Si avvicinarono al rifugio, pregustando la polenta e, prima di bussare, sbirciarono dalla piccola finestrella con l’inferriata.
Videro che all’interno si trovava un vecchietto, raggrinzito e calvo con la barba bianca, che rimestava il paiolo all’interno di una pentola sopra il fuoco del camino.
Stavano per bussare, quando furono assaliti da una paura terrificante, accorgendosi che sul volto il vecchietto aveva un ghigno malefico e che nel pentolone ciò che stava mescolando non era polenta ma monete d’oro. E poi, quando il vecchietto si allontanò per prendere delle bacchette di ferro destinate a essere trasformate in chiodi e le fece a pezzetti per mescolarle alle monete, i bambini si accorsero che quell’essere non era umano, in quanto aveva due orrendi zoccoli al posto dei piedi. Si convinsero che fosse il diavolo e così si allontanarono terrorizzati, correndo a capofitto giù per il sentiero, abbandonando il gregge, fino ad arrivare al loro villaggio.

Lì raccontarono ai genitori e ai paesani quello che avevano visto e così gli uomini più coraggiosi salirono verso la baita diroccata, per verificare che cosa stesse succedendo. Ma quando giunsero al vecchio rifugio, non trovarono nessuno. Però era evidente che il fuoco fosse stato appena spento e la baita fosse proprio come descritta dai loro bambini, nei minimi particolari: il camino, il paiolo, il pentolone, le barre di ferro, le tracce dell’oro…  Fu così che la vecchia struttura diroccata fu soprannominata “Baita del Diavolo” e quella vallata montana cominciò a essere conosciuta come “Val d’Inferno”.

 

foto: Wirestock – freepik.com

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Il racconto – originario di un borgo montano della bergamasca – insegna che la montagna può riservare anche dei pericoli. Così può succedere nella vita, dove il maligno è sempre all’opera e può nascondersi nelle situazioni più impensabili spesso “diroccate”. Importante è stare all’erta e non cadere nelle trappole.

La tradizione popolare è intrisa di racconti, leggende, storie, detti, proverbi, che demonizzano i pericoli e insegnano, specialmente ai più giovani, a essere prudenti, a non lasciarsi dominare dal male e a percorrere i sentieri del bene.