A cura di don Ezio Del Favero

33 – La ragazza e la luna

In un villaggio etiope, ai piedi di un’alta montagna pianeggiante, viveva una ragazza bellissima...

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In un villaggio etiope, ai piedi di un’alta montagna pianeggiante (“Amba”), viveva una ragazza bellissima. La sua pelle era ambrata, ma dicevano che, durante le notti di plenilunio, diventasse bianca come il latte.

La giovane, che si chiamava Sumeya, oltre che bella, era mite e generosa e aiutava i suoi nel duro lavoro dei campi sull’altopiano dove vivevano. Era anche una sognatrice e talvolta si immaginava di volare dall’alto dell’Amba o di essere rapita da un principe celeste o di trasformare in oro e preziosi ciò che accarezzava.

Per queste sue stranezze e per la credenza che la vedeva trasformarsi nelle notti di plenilunio, i giovani del villaggio, pur essendo tutti innamorati della bellissima Sumeya, se ne stavano ben lontani da lei.

Solamente un ragazzo osava rivolgerle la parola, pur essendo assai piccolo di statura, ma dal fisico gradevole, agile come una gazzella e coraggioso come un leone. Sumeya, pur conoscendolo poco, lo considerava suo amico, se non altro perché era il solo che avesse il coraggio di avvicinarsi e di rivolgerle il saluto.

Il ragazzo, follemente innamorato di lei, spesso si chiedeva: «Che sia vero che Sumeya, nelle notti in cui la luna abbaglia i papiri, si trasformi diventando tutta bianca? Speriamo siano solo delle false dicerie. Fosse vero, una ragazza così bella e stregata, non potrebbe mai ricambiare il mio amore. Da parte mia però, io la amerò sempre!».

Una notte, il giovane si accorse che la ragazza si stava allontanando dal villaggio, lungo il sentiero che saliva sul monte pianeggiante. La seguì a distanza. Forse avrebbe scoperto la verità.

Sumeya arrivò in cima alla montagna e alzò le braccia al cielo, come per invocare la luna. Improvvisamente l’astro uscì maestoso in mezzo al cielo e rischiarò tutto, come in pieno giorno.

La trasformazione si compì sotto gli occhi stupiti del giovane: la sua amata diventò completamente bianca, eterea, accarezzata in tutto il suo esile corpo grazioso dai raggi lucenti della luna. Suoni di flauti e arpe inondarono la montagna, mentre Sumeya danzava sollevata da terra. Il ragazzo pensò: «Allora è tutto vero! E lei è sicuramente una dea, che si libra nell’aria al suono di questa musica celestiale!».

Nel frattempo, un principe arabo proveniente dal cielo, su di una nuvola a forma di cavallo, si avvicinò alla giovane, la afferrò delicatamente per i fianchi e la sollevò verso il cielo, al seguito di uno stormo di volatili tutti variopinti.

A quel punto il giovane etiope non si trattenne, temendo che la sua amata fosse rapita per sempre, e urlò con tutta la forza il nome della ragazza: «Sumeya! Sumeya!».

Allora l’incantesimo si spezzò, i suoni cessarono, il principe e il suo cavallo scomparvero, la luna si eclissò dietro le nuvole e la ragazza precipitò dal cielo.

Il ragazzo corse e abbracciò forte il corpo inerme dell’amata, tra le lacrime. Sumeya si svegliò, come se nulla fosse accaduto, e sorrise.

Mentre la ragazza, che non ricordava nulla, rispose all’abbraccio del giovane, un altro incantesimo si compiva sulla cima di quell’Amba: il sogno di un ragazzo coraggioso si stava realizzando!  Il suo amore aveva sconfitto la magia, forse malvagia, della luna e la giovane dalla pelle bianca si era trasformata di nuovo in una ragazza ambrata come le coetanee somale, seppur bellissima.

I due giovani si unirono in matrimonio e la luna, su quel cielo, non si presentò più così lucente da abbagliare i papiri e da trasformare una ragazza ambrata in una giovane bianca come il latte, simile a una dea…

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Termina la parabola raccontata ancora oggi in Etiopia dai vecchi delle montagne: «D’allora la luna, da brillante che era, solcando le valli e le montagne spesso si disperde tra i fiumi e i mari e i deserti di fuoco, fino ad adagiarsi su di un letto di porpora bruciata dal sole».

La storia insegna che l’amore sfida anche l’impossibile e trionfa, sempre.