a cura di don Ezio Del Favero

54 – La sorgente dell’Anziano

In un tempo remoto, gli abitanti di un paese di montagna videro arrivare uno sconosciuto accompagnato da una ragazzina.

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In un tempo remoto, gli abitanti di un paese di montagna videro arrivare uno sconosciuto accompagnato da una ragazzina.

Era un uomo alto, dal volto nobile e distinto e portava la spada e l’abbigliamento dei cavalieri. La ragazza aveva dei lunghi capelli dove il sole sembrava aver impresso qualche raggio, due occhi spalancati che permettevano di leggere il fondo della sua anima, la fronte splendente di luce, l’andatura piena di grazia da sembrare un’apparizione celeste.

Padre e figlia si stabilirono in una casetta sulle rive del lago. Il mistero che li circondava suscitò la curiosità dei paesani, nonché la diffidenza dei vicini e del governatore del castello fortificato, per poi lasciare il posto alla più viva simpatia. Un povero si trovava in miseria o un malato in pericolo di vita? Il cavaliere e la figlia accorrevano, portando aiuti e rimedi. Necessario bendare qualche ferita? La ragazza se ne occupava con delicatezza e destrezza. Finito il loro compito, i due stranieri facevano alcune brevi raccomandazioni e si allontanavano, come impazienti di rientrare nel loro misterioso ritiro. In sei mesi padre e figlia si conquistarono la simpatia dell’intero paese, così da essere considerati quasi degli angeli. Vissero lì per due anni, impenetrabili come il primo giorno, ma costantemente pronti ad accorrere in aiuto dei bisognosi.

Poi, una mattina, le imposte della casetta sul lago non si aprirono. E tutti intuirono che vi si fosse abbattuta una disgrazia. La sera prima, infatti, mentre stava tornando a casa dopo aver curato un bambino, la ragazza aveva voluto raccogliere delle ninfee le cui larghe foglie coprivano la superficie del lago. Si era avvicinata troppo al bordo, il suo piede era scivolato e lei era sprofondata in acqua senza che nessuna mano la salvasse. Solo al tramonto il padre, preoccupato, percorrendo le rive del lago, vide tra le canne il corpo esanime della figlia, che teneva ancora tra le mani un mazzolino di ninfee.

I funerali della ragazza ebbero luogo tra i singhiozzi e i gemiti di una folla innumerevole, accorsa anche da lontano. Il padre, più pallido del sudario che copriva la figlia, dopo la cerimonia si ritirò nella sua dimora accanto al lago. Per mesi nessuno vide alcuna luce splendere o alcuna porta aprirsi in quella casetta. I paesani immaginarono che l’uomo, distrutto dal dolore, fosse andato a raggiungere la figlia. Ma nessuno osava assicurarsi di questo. Anzi, tutti deviavano dal loro cammino per evitare di passare nei pressi della casetta visitata dalla morte. E quando, per forza, dovevano passare di là, uomini, donne e bambini acceleravano il passo e si segnavano timorosi.

Tuttavia, un giorno, il lutto finì. I paesani videro l’uomo che si dirigeva con un vaso verso le gole tra le rocce. In pochi mesi sembrava essere invecchiato di un secolo. Grandi e profonde rughe gli solcavano la fronte; i suoi capelli erano più bianchi della neve; il suo capo, di solito bello dritto, si piegava tristemente verso terra, incapace di sopportare il peso che lo schiacciava; la sua andatura era instabile e la sua esistenza sembrava frantumata.

Il tempo passò. I bambini che avevano conosciuto il vecchio, schiacciato dall’età e dal dolore, crebbero, vissero e morirono; così i loro figli. Si succedettero tre generazioni e il vecchio era ancora lì. La morte sembrava averlo dimenticato.

Solo più tardi, numerosi anni dopo, un mattino i paesani lo trovarono senza vita, vicino al boschetto di faggi che dominava il lago. Il governatore del castello lo fece seppellire con tutti gli onori dovuti al suo rango di cavaliere. Neanche il popolo aveva mai smesso di considerarlo come tale e quella tradizione si era perpetuata.

Solo allora qualcuno osò entrare nella casetta in riva al lago. Era semplice e monastica e conteneva solo un manoscritto con poche righe. Leggendolo, i paesani scoprirono il motivo per cui tutti i giorni il vecchio si dirigeva con un vaso verso le gole tra le rocce. Alla morte della figlia, l’uomo aveva fatto voto di mangiare solo pane e di bere solo l’acqua limpida dalla prima sorgente che avesse trovato dopo aver camminato per due ore. Così il caso lo condusse alla sorgente zampillante le cui acque avevano la proprietà di far invecchiare rapidamente ma impedivano di morire.

Il vecchio, smettendo di bere, aveva deciso di unirsi a sua figlia nell’aldilà.

D’allora, quella fonte è conosciuta come la sorgente dell’Anziano…

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La parabola – raccolta in Francia sul Massiccio della Certosa – narra l’origine di una sorgente che sembra avere proprietà salutari pressocché miracolose, attingendo alla tradizione popolare, ricca di episodi di generosità, di sacrifici, di mistero e di amore autentico.