Dalla Cattedrale alle case: la celebrazione penitenziale

Testimonianze, Vangelo e preghiera per la confessione dei peccati

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Le immagini delle videocamere mostrano, purtroppo ancora una volta, la Cattedrale di Belluno senza la folla delle celebrazioni, che fino a Natale affollavano le dirette; con acribia, gli operatori non esitano a diffondere dai teleschermi l’inquadratura dei banchi affatto vuoti di fedeli. Nella celebrazione penitenziale presieduta dal vescovo Renato Marangoni, martedì pomeriggio, subito questo spazio vuoto si riempie delle voci diffuse dagli altoparlanti. Se in chiesa le persone si contano sulle dita di una mano, portano le testimonianze e le esperienze di tante persone.

Gli anziani delle case di riposo

Ci sono innanzitutto gli anziani della Casa di riposo «Don Gino Ceccon» di Santa Croce del Lago. Li porta in Duomo la testimonianza di Tiziana Basso, vicedirettrice; un suo scritto viene letto al microfono e narra innanzitutto la scoperta, come in un incubo, ora dopo ora, dei tamponi positivi al coronavirus, dell’angoscia per i dispositivi di protezione individuale insufficienti a fronteggiare l’emergenza, del personale da ridistribuire o da far stare a casa. «Non era in alcun modo concesso di cedere – scrive la Basso – gli anziani avevano assoluto bisogno di noi». La paura, prosegue, ora «ce la nascondiamo in fondo alla tasca quando entriamo in casa di riposo e diventiamo capaci di sostenerci e rassicurarci a vicenda. Ecco cos’è accaduto e sta tutt’oggi accadendo: insieme abbiamo unito le nostre forze e le nostre competenze e ciascuno ha messo in gioco molto più di quanto potevamo di poter essere e dare».
Gli anziani, «spaventati per l’ennesima volta in una vita già duramente provata», portano la saggezza dell’esperienza. «Una di loro ci ha detto: ringraziamo Dio che ci dà la possibilità di aver qualcosa di offrire: offriamo questa nostra sofferenza per un bene più grande». Ed ecco la consegna per il futuro, di cui nessuno, né giovane né anziano, sa bene le coordinate: «Ciò che circola tra noi, in casa di riposo, è ora spirito di sacrificio, disponibilità e fiducia, frutti molto più preziosi dei numeri statistici, e che ci piacerebbe fossero il prossimo futuro del genere umano».

Guarito dal coronavirus

Dopo alcuni tamponi negativi, fra Sandro Periotto, dei cappuccini di Mussoi, è stato dichiarato guarito. È stato in ospedale; è in Duomo. Condivide l’esperienza «di non esser mai stato solo e di essere nelle mani del Padre». Ringrazia «per la grande rete di persone che ci vogliono bene. I rapporti buoni tra le persone sono un dono che spesso si dà per scontato». E assieme chiede al Padre «che questa situazione possa far riscoprire l’importanza delle relazioni».

La parola del Vangelo

Tunica bianca semplicissima per i preti che vivono con il Vescovo e che sono presenti in Cattedrale. Le loro voci proclamano il vangelo del giorno e l’episodio dell’unzione di Betania, con Maria, sorella di Lazzaro e Marta, che sparge l’olio profumato sui piedi di Gesù. Betania e il Cenacolo, nel quale il Vangelo del martedì santo ambienta il tradimento di Giuda, «sono ora le abitazioni di tutti noi, collegàti a questa celebrazione», dice il Vescovo e con questo inizia la sua omelia. «Nel racconto del tradimento di Giuda, anche noi, come l’evangelista, siamo molto turbati dalla situazione di tradimento in cui ci siamo imbattuti». Giovanni, l’evangelista cui è affidata questa narrazione, fa scontrare due forze: «il cinismo del calcolo interessato, proprio di Giuda, e l’amore che si china sul petto di Gesù».

Da questo contrasto, il vescovo Renato invita a percorrere questa convinzione: «nessuno è abbandonato alla sola forza del male: siamo fatti di energie buone e attraversati nello stesso tempo da forze negative che ci conducono dalla parte sbagliata». Questa constatazione ottimista, cede inoltre subito il passo alla contemplazione del Dio «che porta novità nella nostra vita»: la parola «impensabile» della Scrittura attesta che «il Dio di Gesù si è gettato dietro le spalle tutti i peccati, tutto il male scatenato, quello subito e quello prodotto»; e noi «ci fidiamo di questa storia di vita, di bene, di salvezza». Quel Gesù che campeggia nei due racconti evangelici («è così anche nella nostra vita?») parla di «un Dio raccontabile da ciò che abbiamo ascoltato, dalle testimonianze di Tiziana e di fra Sandro; rintracciabile in queste settimane dove ci siamo trovati sospesi, disorientati; dove c’è stata sofferenza, fatica e morte». E a conclusione del suo intervento il Vescovo fa strada a una suggestione: «È curioso notare la corrispondenza: Gesù aveva ricevuto da Maria di Betania il gesto di lavare i piedi; lo proporrà, moltiplicato, nell’ultima cena; anche lui apprende da noi». E ancora una volta si affida a Dio che «si impasta nella nostra storia: cerca il bene e ci crede all’estremo. La nostra umanità è capace di dire Dio, di raccontarlo, di donarcelo», anche nelle «settimane inspiegabili per ciò che si è sviluppato in tutto il mondo». Mentre si moltiplicano, virali come il Covid, le analisi e le spiegazioni, le statistiche e le previsioni, «nelle nostre case saremo a Betania e nel Cenacolo. Non rinunceremo al bene. Ci fideremo gli uni degli altri. Faremo Pasqua».

La confessione dei peccati

Ora giunge il momento della confessione dei peccati. Il Vescovo invita al silenzio. Il corale di Bach che si diffonde dall’organo Mascioni oscilla tra il fa diesis minore e il si minore, quasi a ripercorrere il viluppo dei pensieri dell’uomo; lo interrompe il Magnificat, che celebra l’esultanza dell’anima perdonata, ed è l’ultimo canto della celebrazione; dal Vescovo le parole conclusive, con la consegna a «richiamare i peccati che sentiamo gravi nella prossima confessione individuale».

Un arrivederci, virtuale, sugli schermi, ma non meno caloroso, per vivere, distanti ma assieme, «una celebrazione della Pasqua grazie e misericordia infinita che continuerà a rigenerare il nostro cuore».

don Giuseppe Bratti