Presso il santuario del Nevegal, nella mattinata di giovedì 16 giugno

Dall’assemblea del presbiterio e dei diaconi

La sintesi diocesana, il significato della beatificazione di “don Albino”, la testimonianza di Andrea Canal

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Prima dell’estate, come da tradizione, i preti e diaconi della diocesi si ritrovano presso il Santuario del Nevegal per un momento di assemblea, quest’anno nella mattinata di giovedì 16 giugno. L’incontro con l’ascolto del brano evangelico assegnato dalla liturgia: è il punto centrale del Discorso della montagna, laddove Gesù insegna il “Padre nostro”. E don Mirko Pozzobon, delegato vescovile per la formazione permanente del presbiterio, subito collega quel momento di preghiera al percorso che un gruppo di ragazzi sta facendo al Villaggio San Paolo, proprio sulle invocazioni della preghiera del Signore.

Riconsegna della sintesi diocesana

A Massimo Diana tocca il primo punto all’ordine del giorno: presentare la Sintesi diocesana, frutto dell’ascolto nei 241 “gruppi sinodali”, che nei mesi scorsi si sono raccolti nella nostra diocesi. Insieme ad altre sei persone e al Vescovo, Massimo ha fatto parte dell’équipe che ha redatto il documento e sottolinea: «I contenuti non sono cosa nuova. Colpisce l’enfasi che la gente ha dato ad alcuni aspetti, perché la Chiesa sia più bella di quanto sembra». L’organizzazione del documento è opera dell’équipe, ma il testo è un intarsio di citazioni delle varie sintesi pervenute, perché «era importante non alterare quanto emerso». Testimonia l’impressione di «un lavoro bellissimo e utilissimo, perché la lettura delle sintesi ha fatto sentire la voce della nostra gente e questo ci ha coinvolti emotivamente».

La prima richiesta emersa è un desiderio di amicizia, di incontrarsi, di stare insieme. «Sarà anche a causa della pandemia e dell’isolamento che ci ha imposto», ma l’istanza è stata generalizzata, in fondo lineare con l’indicazione del Vangelo, come è stato sottolineato: «Amatevi gli uni gli altri».

Pressante è stata la domanda di attenzione ai giovani, che non si sentono ascoltati né compresi dalla comunità: la percepiscono poco incline al dialogo; eppure manifestano il desiderio di essere valorizzati, ascoltati, compresi, coinvolti. Un ulteriore appello è diretto verso “l’altra metà del cielo”, perché anche la donna partecipa a pieno titolo all’annuncio del vangelo e alla corresponsabilità sulla comunità. Ricorrente è l’invito a guardare alla famiglia, che diventa un modello per la Chiesa: la famiglia è “piccola Chiesa”, ma anche la Chiesa dev’essere famiglia.

Massimo è insegnante; racconta l’esperienza del gruppo sinodale radunato con i colleghi, dal quale è emerso nitido il desiderio di essere ascoltati dalla Chiesa. Invece la nota critica più ricorrente è quella verso una comunità che si mostra «giudicante ed escludente», in modo particolare quando lo è verso gli stranieri o le situazioni matrimoniali irregolari. E conclude: «Vado fiero delle sintesi che sono pervenute. Erano molto sincere».

L’appello del vescovo Renato

Nel successivo intervento, il Vescovo aggancia questa riconsegna a uno sguardo prospettico sul prossimo anno pastorale. Dall’assemblea generale della CEI, nel maggio scorso, sono state indicate le priorità che dovranno essere messe a fuoco nel secondo anno di ascolto. Si tratta di tre linee che aprono “cantieri di ascolto”:

  1. la corresponsabilità e formazione degli operatori pastorali;
  2. I mondi dei poveri, dei giovani e delle culture;
  3. lo snellimento delle strutture ecclesiali;
  4. ci sarà però spazio anche per un “cantiere” scelto da ogni diocesi sulla base della propria sintesi.

Nel frattempo – continua il Vescovo – si stanno concludendo gli incontri dei coordinamenti foraniali (manca solo la convergenza di Cadore-Ampezzo-Comelico, in programma il 18 giugno). In questi incontri egli ha «percepito un grande amore per la Chiesa; preti e laici insieme hanno mostrato che si può voler bene alla Chiesa». Li vede un po’ come Pietro sul lago di Galilea, quando ha risposto: «Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene». Perché – nota il Vescovo – «voler bene alla Chiesa è rispondere alla domanda posta da Gesù a Pietro». Di qui un accorato invito: «Sono qui a chiedervi più fiducia e più sincerità nei rapporti tra di noi, anche abbandonando il linguaggio divisivo e contrapposto di quando diciamo “noi preti – voi laici”, dal momento che siamo tutti discepoli e discepole di Gesù Cristo».

E quando si obietta che oggi la fede appare ferita, assottigliata, “esculturata”, il Vescovo – citando il vescovo di Modena (“Benedetta crisi”) – sottolinea che «l’irrilevanza della fede fa parte del DNA della comunità voluta da Gesù; quando ha rilevanza, si pone come un organismo geneticamente modificato»; veramente urgente è che i cristiani siano meno divisi tra di loro, perché tanti pretesti di divisione si sono insinuati nella Chiesa negli ultimi anni.

Il presbiterio di Albino Luciani

A chi scrive è stato chiesto un intervento sul significato che per questo presbiterio può avere la prossima beatificazione di “don Albino”. Richiama quanto disse Giovanni Paolo II ai preti della diocesi raccolti a Col Cumano il 16 luglio 1988: «Saluto il presbiterio di Albino Luciani. È lo stesso presbiterio, la stessa Chiesa in cui lui ha sentito la sua vocazione, in cui si è preparato al sacerdozio, è divenuto sacerdote e ha cominciato questo ministero stupendo che è proprio della nostra vocazione».

Ora, mentre si avvicina il traguardo del 4 settembre, si possono riconoscere gli obiettivi raggiunti dal processo canonico e dal recente convegno accademico organizzato dalla Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I. È finalmente arrivato il tempo di andare oltre i cliché della pubblicistica devota e oltre i sospetti che la letteratura noire ha intrecciato sulla repentina morte di papa Luciani; sono cliché che hanno messo un po’ in ombra il pieno valore della sua vita e del suo pontificato che, per quanto breve, ha posto nella storia della Chiesa un segno che è imperituro.

Piace richiamare l’intuizione di mons. Savio che, nell’aprire la causa di canonizzazione, voleva proprio offrire un incoraggiamento a questa comunità diocesana. La vedeva disattenta ai propri tesori e per questo avviò la riscoperta dei tesori d’arte delle chiese montane; per questo volle evidenziare che anche tra di noi il Signore ha lasciato tracce di santità. In questo “tra di noi” si pone a buon diritto anche il presbiterio di questa diocesi, che fu – per dirla ancora con le parole di papa Wojtyla – «l’ambiente spirituale in cui si è “fatto” il suo sacerdozio, la sua vocazione sacerdotale e la consacrazione»; qui è partito il suo cammino verso la santità, il cui riconoscimento fra pochi mesi avrà il sigillo della Chiesa universale.

La testimonianza di Andrea

Per ultimo ha preso la parola Andrea Canal, il seminarista di Santa Giustina, che «prima di concludere il percorso formativo del Seminario», ha vissuto un anno presso il Sermig di Torino. «La scelta, condivisa con i formatori, mi ha permesso di vivere un’esperienza fuori dalla diocesi e lontano per mettermi in gioco in un ambiente nuovo. Al Sermig ho potuto sperimentare la dimensione missionaria concretizzata nel servizio verso i poveri di quel quartiere e verso le famiglie che lo abitano: è la carità di Cristo che può passare anche attraverso le mie mani. Ho imparato che ogni servizio al prossimo deve avere il fondamento nella preghiera, la relazione con il Signore che indica la via da percorre e sostiene i nostri passi quotidiani e le azioni».

Davide Fiocco