«Eucaristia di esultanza e gratitudine»

La celebrazione della Messa crismale nella mattinata di sabato 30 maggio

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Scarica l’omelia del Vescovo durante la Messa del Crisma

 

«C’è innanzitutto uno sguardo di gratitudine in tutti noi qui raccolti, ma immaginiamo anche in coloro che sono uniti a noi tramite Telebelluno e la pagina Facebook dell’Amico del Popolo. Arrivi il nostro sguardo a voi tutti. Questo stesso sguardo ci permette di non sentirci soli, di scoprirci in cammino, accompagnati dalla presenza del Risorto. Domenica, giorno dell’Ascensione, ci ha detto che sarà con noi tutti i giorni». Con queste parole il Vescovo ha introdotto nella mattinata di oggi, sabato 30 maggio, la Messa Crismale che ha presieduto in Cattedrale a Belluno.

Rivolgendosi ai presbiteri presenti il Vescovo ha sottolineato che «la nostra è un’Eucaristia di esultanza e gratitudine» e poi che «c’è tanta gratitudine per i nostri preti e vorrei raccoglierli in un abbraccio che va dal più avanti negli anni, don Mario Carlin (98 anni compiuti) al più giovane di ordinazione, don Diego Puricelli. Tra loro un pensiero particolare va al vescovo Giuseppe e poi ai festeggiati per 60 anni di ordinazione (Flavio De Longo, Attilio Giacobbi, Sergio Sacco, Rinaldo Sommacal) e per i 50 anni di ordinazione (Paolo Arnoldo, Virginio De Martin, Renato De Vido, Giuliano Follin, Valerio Maschio e il vescovo Virgilio Pante). Nell’abbraccio della nostra preghiera anche i presbiteri che sono a Casa Kolbe e poi ai preti nelle altre case di soggiorno o nella propria casa». Un ricordo affettuoso di riconoscenza il Vescovo lo ha riservato anche «ai confratelli che ci hanno lasciato dal giovedì santo del 2019: Alfredo Murer, il vescovo Pietro Brollo, Davide Girardi e Bernardo D’Agostini».

All’inizio dell’omelia ha ricordato il vangelo di Giovanni che riporta queste parole di Gesù: «Ecco viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo». «Ma davvero può succedere questo», si è chiesto il Vescovo, «disperderci tra noi e lasciarlo solo?». Dopo aver ricordato un’altra espressione di Gesù («Nel mondo avrete tribolazioni»), il Vescovo ha commentato: «Sì, queste parole di Gesù sono anche esperienze concrete che abbiamo sentito e visto. Raccontano storie vere che ci hanno raggiunto nei giorni più bui della pandemia. Forse anche racchiudono situazioni che alcuni stanno attraversando. Ma ecco, c’è un olio che lenisce, che rimargina, che sana, che consacra. Gesù alle parole di turbamento aveva aggiunto: “Ma io non sono solo perché il Padre è come me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me, abbiate coraggio, io ho vinto il mondo”. Abbiamo bisogno di questa rassicurante parola, cercando di portarla nella nostra vita, di condividerla con i compagni di viaggio, di temerla viva nelle nostre case e nelle nostre comunità».

Continuando nell’omelia, il Vescovo ha citato una testimonianza raccolta dal Consiglio pastorale diocesano che a fronte dei problemi, delle difficoltà, delle paure provocate dalla pandemia ha trovato un punto di riferimento nell’impegno di chi si è dato da fare per gli altri, anche a costo della vita, trovando in questo esempio la forza per mettersi a disposizione. «Noi presbiteri – ha commentato – siamo grati, tanto grati di appartenere a questo popolo sacerdotale che sono le nostre comunità. Popolo sacerdotale costituito da Colui che ci ama e ci ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue. Questa è la nostra vera storia».

«L’olio che oggi benediciamo e consacriamo – ha proseguito il vescovo – e i sacramenti che lo utilizzeranno sono nelle nostre mani di discepoli, mani tremolanti segnate dalla fatica e con tante escoriazioni, per quell’unzione d’amore con cui portare il lieto annuncio ai poveri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare ai prigionieri la liberazione, rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».

«In questi giorni in cui si compie il tempo della Pasqua per portarci all’effusione dello Spirito il nostro cammino incerto e timoroso – ha fatto ancora presente il Vescovo – è stato illuminato dal racconto che conclude il vangelo di Giovanni. Ci ha portato sulle rive del lago di Tiberiade, tutti noi discepoli del Signore: preti, laici, persone di vita consacrata, famiglie, giovani, anziani. Siamo nel luogo della nostra chiamata. Siamo lì mentre Gesù ha una premura che ci sorprende: “Venite a mangiare”. In questa sua vicinanza, anzi, intimità che solo Lui sa accendere in noi, ecco il suo sguardo che incontra i nostri occhi un po’ smarriti e in un attimo solo ci porta alla verità più profonda di noi stessi chiedendoci: “Tu mi ami più di costoro?”. La sua domanda non smette. Quanto volte ci siamo svincolati dalla domanda intrigante dell’amore, abbiamo preferito ignorarla o nasconderci ad essa. Ma giorno dopo giorno, passando attraverso la nostra fragilità, scopriamo che la Pasqua del Signore ci porta alla disarmata confidenza di Pietro: “Signore, tu sai che ti voglio bene”. È il suo e il nostro tendere le mani, il suo e nostro lasciarci condurre. Non c’è Pasqua senza questo passaggio d’amore. Dice Giovanni: “Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio”».

«Ogni unzione nella Chiesa è olio d’amore – ha ricordato il vescovo – che guarisce, che incoraggia, che rafforza, che consacra, che innesta la storia del discepolo in quella del suo maestro come un tralcio nella vite. L’unzione descrive anche ogni scelta e storia d’amore, di tutti noi. Chi compie un’unzione si china, cerca la ferita, la guarda e la esplora con tenerezza, la protegge, la sfiora per liberarla e pulirla, la ristora, la raddolcisce, le comunica sollievo, la destina alla vita. Può essere la nostra storia che si rigenera anche ora dopo i giorni difficili che abbiamo vissuto. Nella sua prima lettera Giovanni ci dice: “Quanto a voi l’unzione che avete ricevuto da Lui rimane in voi”».

A conclusione dell’omelia, il Vescovo ha citato un’altra testimonianza desunta dal Consiglio pastorale diocesano che esorta ad essere, come persone e comunità, luce che tiene viva la speranza, che combatte la disperazione che mostra che quello che si fa viene dalla vicinanza che si cerca con il Signore.

Carlo Arrigoni