23.ma domenica del tempo ordinario - Anno A

Fraternità da costruire

a cura di un parroco di montagna

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Il vangelo comincia ponendo una questione delicata: «Se il tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e riprendilo tra te e lui solo. Se ti ascolta, hai guadagnato un fratello».

Fratello, peccato, correzione e perdono… sono tutte realtà molto impegnative.

Gesù a volte chiama “fratelli” i suoi discepoli: «Non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli». Gesù parla del gruppo dei Dodici, ma lo fa con una prospettiva di universalità: i Dodici rappresentano le dodici tribù di Israele e, quindi, l’universalità del popolo di Dio.

Per Gesù i Dodici prefigurano il nuovo Israele e sono l’inizio di un più grande raduno. Nell’Antico Testamento, il termine “fratello” indicava il correligionario appartenente alla stessa comunità religiosa. A prima vista, sembra sia questo il senso anche del discorso di Gesù: fratelli sono gli appartenenti alla Chiesa. Rispetto all’antico testamento, il nuovo ha un’apertura universale: tutti possono essere fratelli per la fede, indipendentemente dalla religione e dalla razza.

In altri testi del vangelo, Gesù è ancora più chiaro: “fratello” è chiamato chiunque si trova nel bisogno: «Quello che avete fatto /non fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete /non l’avete fatto a me». Questo porta a concludere che i fratelli da accogliere, correggere e perdonare sono in primo luogo quelli della propria comunità, ma sono anche in senso più ampio tutti gli uomini.

Duecento anni fa c’era la Rivoluzione Francese con i suoi slogan: libertà, uguaglianza, fraternità. Mentre libertà e uguaglianza sono intoccabili (apparentemente!), la fraternità non pare sia un dato acquisito. Si vede che spesso è negata nei fatti e nelle parole. La fraternità è tutta da costruire, è sempre da ricostruire.

«Se tuo fratello pecca…», la reazione istintiva sarebbe: «Affari suoi. Non mi impiccio!».

«Se pecca contro di te, correggilo tra te e lui solo». Questo diventa più difficile: costa fatica. È più facile risentirsi, chiudersi… e poi giudicare, mormorare, parlare alle spalle.

Correggere, perdonare… richiedono un’esperienza da cercare a monte. Correggere e perdonare sono atteggiamenti che nascono dall’amore.

Gesù è il buon pastore che cerca la pecora e ognuno è pecora più o meno smarrita e disorientata. Ecco che il Pastore ci recupera con mille tentativi per portarci sulla via giusta. Gesù ci corregge perché ci ama e vuole il nostro bene.

A nostra volta, si può aiutare, indirizzare, correggere… se si vuole veramente bene alle persone. La comunità cristiana dev’essere come l’amore del Cristo: lui ci ha amato così come siamo, per primo e per questo ci corregge.

La comunità cristiana deve prendere le distanze dal peccato: esso produce delle ferite dentro e fuori. Dentro il peccato è scandalo per i piccoli e per i deboli. Fuori impedisce alla comunità di produrre le opere che è chiamata a fare.

La comunità cristiana è chiamata ad essere segno tra i popoli, a essere anticipo del mondo nuovo purificato e fraterno.

Bisogna domandare la grazia di imitare il pastore che cerca gli smarriti. Cercarli… possibilmente senza che se ne accorgano. Chiedere la grazia di agire con molta discrezione e pazienza.

«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Nella comunità c’è lui, Cristo! La comunità riunita in lui, agisce per lui. Dove c’è comunità nel suo nome, lì Dio si fa sentire.