Ecuador

Hai anche tu il maiale a casa?

Il benessere è misurato in base a quello che possiedi, a quanta roba vivente possiedi

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«Hai anche tu il maiale a casa tua in Italia?». La domanda mi viene posta dalla Hermana (suora) Ana che, in questo momento, sta armeggiando per portare fuori dal porcile un bel maiale, molto grassoccio. Lo ha legato per una zampa a una corda, all’estremità della quale è attaccato un piolo di legno appuntito che verrà piantato nel terreno per evitare che la bestia fugga, pur lasciandogli un po’ di libertà di movimento, in considerazione che la corda stessa è lunga circa 4-5 metri. In queste zone andine il benessere è misurato in base a quello che possiedi, come in tutto il mondo, solo che qui la ricchezza di una famiglia si misura in quanta roba vivente possegga. Il maiale, per una famiglia, è una ricchezza, ancor di più una mucca, oppure una pecora, mentre i più poveri si accontentano di qualche gallina. Avere qualche cosa di questo tipo da poter mangiare, vendere o barattare, è tutto il benessere che possiedono.

Agli occhi loro, noi che siamo visti come dei ricchi, appariamo come persone che di animali ne hanno a non finire ed è per questo che l’altro giorno mi hanno confessato di voler venire in Italia. Alla mia domanda: «Che cosa volete venire a fare?», mi hanno risposto candidamente: «A vedere il Papa». «E per vivere?», insisto io. «Ci prenderemo in casa maiali, cavalli, mucche eccetera, come fai sicuramente anche tu». «Nessuno in Italia – ribadisco – tiene questo tipo di bestie in casa! Ci sono gli allevamenti». Poi, guardando negli occhi la Hermana Ana, concludo: «Io non possiedo nessuna bestia, se si esclude il cane, che però non è mio, ma di mio figlio, e tra l’altro, non si mangia». Questo discorso la lascia sconcertata e rimane senza parole. Poi, quando si riprende, mi sussurra: «Noi, senza animali, non potremmo vivere!».

Queste parole mi richiamano alla mente quanto mi disse, giorni fa, padre Josè Pedandola: «Quando, su disposizione della Curia locale, fu imposto a queste nostre aspiranti suore di vivere per un periodo di studio presso una casa gestita da religiose, in maggioranza provenienti dall’Europa, per le nostre fu un dramma non potendo portare con sé nessuna bestia. La Hermana Carmen, con le lacrime agli occhi, mi disse che lei era solita svegliarsi al canto del gallo e ora non ne sentiva neanche uno, perciò stentava a dormire la notte. Sai che cosa feci? Ho registrato su una cassetta il canto mattutino di uno dei pennuti che bazzicano attorno alla mia casetta e gliel’ho portata, così ogni mattina lei se lo ascoltava. Non sarà una gran cosa, ma da quel momento la Hermana Carmen ha trovato un po’ di serenità».

La Hermana Ana termina di fissare il piolo al terreno e, assieme, ci dirigiamo verso la cappella per la Messa mattutina. Lei è pensosa e cammina pianino. La guardo e penso, a mia volta, che, a questo punto, l’Italia le piaccia un po’ meno…

Mario Bottegal