La presentazione del libro di Stefania Falasca

Il 40mo di papa Luciani nel suo paese

L'omelia del vescovo Virgilio Pante

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Due ricordi personali. Con questi mons. Pante esordisce nella sua omelia. Racconta di un ritiro spirituale che mons. Luciani aveva predicato ai seminaristi sul finire del 1958, già eletto come vescovo di Vittorio Veneto. Presentando loro due rose, una rinsecchita e una ancora fiorente, aveva richiamato la sentenza del Salmo 90, in cui dell’uomo si dice che è «come l’erba che germoglia al mattino: al mattino fiorisce, alla sera è falciata e dissecca». E l’aveva applicata agli onori e ai fasti di cui si sentiva circondato in quel momento, in cui papa Giovanni XXIII lo aveva scelto per l’episcopato.

Molti anni dopo, nel 1975, quando il prof. Giovanni Rama, luminare della chirurgia oculistica, era in partenza per l’Africa, il card. Luciani affidò al medico un biglietto di saluto per quel missionario di Lamon che svolgeva il suo ministero in Kenya. «Quel biglietto ora è per me come una reliquia».

Il vescovo ha richiamato altre figure di uomini morti in concetto di santità nati nelle nostre valli, soprattutto il venerabile padre Romano Bottegal e il Servo di Dio padre Felice Cappello. Da loro viene un invito a percorrere anche noi la via della santità. Via che però non percorre le strade della scienza teologica o della sapienza di questo mondo: papa Luciani, che pure era dottore in teologia, sapeva che la strada era altrove, era nella carità, perchè «l’esame finale della vita sarà sull’amore». E qui – con disarmante franchezza e con gustosi passaggi in dialetto – mons. Pante ha sferzato i pregiudizi di chi si dice cristiano, ma non sa vedere l’umanità dei migranti che bussano alle porte italiane. E in dialetto: «Ci dicono che sono criminali, che portano malattie, che ci rubano il posto di lavoro… Anche tra gli italiani c’è gente che non si comporta bene… E allora guadiamoli come persone!».

Alla fine della celebrazione sei catechiste, in rappresentanza di tutti i catechisti dell’Agordino, hanno invocato l’aiuto del Signore sul nuovo incipiente anno, portando sei lampade accese davanti alla statua di Papa Luciani. Lampade simbolo di una richiesta di intercessione che continua oltre la celebrazione.

E prima di finire la celebrazione il conferimento della croce “Pro ecclesia et pontifice” a Guido Fabris, organista autodidatta, che da 40 anni svolge il suo servizio sulla tastiera dell’organo Callido.

Prima della celabrazione liturgica – in un dialogo tra la dott. Stefania Falasca, vicepostulatrice della Causa, e don Davide Fiocco, collaboratore della stessa – è stato presentato il volume “Papa Luciani. Cronaca di una morte”. Sono stati chiariti molti aspetti inediti di una questione che, da 40 anni, ha finito per oscurare la figura di Luciani: la sua morte e tutti gli addentellati, che sono divenuti una prateria dove hanno mangiato tanti “sciacalli”, che su menzogne e mezze verità hanno costruito teoremi. La forza della documentazione e dei testimoni oculari pretende ora di chiudere la questione, almeno per chi ha l’onestà di arrendersi ai criteri della ricerca critica.

In serata, una diretta su Telepace ha allargato il campo oltre i confini della nostra provincia: nella prima parte le testimonianze di Gianni Luciani, nipote del Papa, del parroco don Mariano Baldovin e di Loris Serafini, direttore del Museo Albino Luciani; nella seconda parte, è toccato ancora alla dott. Falasca e a don Davide Fiocco rispondere alle domande del giornalista Giacomo Biancardi, richiamando il valore storico del pontificato di Papa Luciani. Anche questa diretta è segno di un interesse che è ripreso e è cresciuto negli ultimi mesi attorno alla sua figura.