13.ma domenica del tempo ordinario - anno A

Il profeta ha una voce debole, ma veritiera

a cura di un parroco di montagna

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

I coniugi di Sunem ospitavano il profeta Eliseo quando passava dalle loro parti e gli avevano riservato anche una camera per riposare. Gesù nel Vangelo parla di ospitalità e accoglienza data al profeta-discepolo (che in pratica è ogni portatore della parola di Dio) che è debole, stanco, bisognoso di un bicchier d’acqua… Non si pensi che il profeta sia solo un personaggio qualificato, studiato, che sa parlare bene: bisogna distinguere.

Ci sono voci strombazzanti ma – si sa – chi fa la voce grossa non ha sempre ragione. Se è per questo, Dio ha preferito la debolezza: ha donato il Figlio che non spegne il lucignolo fumigante e non mette altoparlanti in piazza; il Figlio che si lascia mettere in Croce. La potenza di Dio è la forza dell’amore e gli uomini stentano a comprenderlo perché conoscono altre forze, quelle economiche e subiscono la potenza di chi è più attrezzato, più studiato, più abile nel parlare… C’è un’altra potenza, poco vistosa e poco conosciuta: la forza della fede semplice di tanta gente che conta su Dio, riceve da lui saggezza e va avanti con fiducia nella vita.

Si tratta di una forza seminata nelle persone, misteriosa e sorprendente. Poi il battezzato scopre, con san Paolo, una forza ancora più grande, la potenza di Cristo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Calma! Sepolti con Cristo nella morte affinché come Cristo è risuscitato per la gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova». C’è una “vita nuova” che comincia dopo aver conosciuto Cristo e c’è una vita di prima, quella “vecchia” che si aveva prima di cominciare a frequentare Cristo.

Pur amando Cristo e pur avendo scelto di seguirlo, la vita (vecchia) di prima rivive ogni tanto e si rianima. Ci vuole una grazia potente, una risurrezione vera per vivere la “vita nuova” …e per “far morire” l’uomo vecchio di prima, cioè lo stile di vita che c’era prima di conoscere Cristo. La vita di prima, con abitudini e tendenze che non corrispondono al Vangelo, non muore mai: rispunta come la gramigna, ha sette vite più dei gatti.

Adesso si capisce perché Gesù dice: «Chi avrà tenuto per sé la propria vita (egocentrica) la perderà, chi l’avrà perduta a causa mia la troverà». E anche: «Chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me». La propria croce è lo strumento per crocifiggere l’uomo vecchio che c’è in noi, l’uomo contrario al Vangelo che non conosce l’amore generoso di Cristo, perché tende sempre ad avere al centro sé stesso. La croce è lo strumento dell’esecuzione di questo uomo poco cristiano, duro a morire, se si vuole poi risorgere alla vita nuova con Cristo.

Altra parola: «Chi accoglie un profeta, avrà la ricompensa del profeta». Il profeta è una voce debole, non strombazzante come altre, ma è veritiera. Raramente un profeta viene a noi in persona (come quando Giovanni Paolo II venne in Cadore), ma voci di profeti e di portatori delle parole di Cristo ci raggiungono ogni giorno. Noi stessi possiamo leggere il Vangelo per contro nostro e allora diventiamo collaboratori del profeta fino ad assecondare la sua opera in noi. A quel punto si diventa un tutt’uno col profeta di Cristo e si guadagna la stessa ricompensa del profeta, del giusto e del discepolo.

Attenzione, però! Gesù non è uno dei tanti. Gesù vuol raggiungere il centro di noi stessi, vuol darci stabilità e mettere ordine nelle nostre cose.

Infondi in noi la sapienza e la forza del tuo Spirito!