Gli eventi ecclesiali che indicano la via e una dinamica di sinodalità da portare avanti a tutti i livelli e con tutti i soggetti

Il punto del vescovo Renato sul cammino della diocesi

I Consigli pastorali, le nuove foranie, i rapporti tra le parrocchie, la realtà dei tanti preti anziani, il ruolo degli uffici pastorali

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Passati due anni dal suo arrivo in diocesi di Belluno-Feltre, abbiamo incontrato il vescovo Renato Marangoni, per chiedergli di fare il punto su quanto è stato fatto e su quanto si vuole fare con l’intento di aiutare tutti a capire meglio il cammino che è stato intrapreso e le mete verso le quali ci si sta dirigendo.

I CONSIGLI PASTORALI
Il Vescovo inizia la sua “ricostruzione” di questi due anni, richiamando l’impegno che negli ultimi mesi ha portato alla costituzione o al rinnovo dei Consigli pastorali parrocchiali. «Non si tratta assolutamente di un fatto di contorno, ma di un passaggio significativo e decisivo», ha fatto presente. «L’altro giorno a Roma, all’assemblea della CEI, il Papa ha detto a noi Vescovi che per lui è inconcepibile che una diocesi o una parrocchia non abbiano il Consiglio pastorale».

«Ci possono essere delle criticità, perché la messa in atto o l’accompagnamento del Consiglio non avvengono nei modi dovuti, ma dobbiamo imparare a esercitare questa forma di comunione, di partecipazione, di sinodalità» – ha continuato il Vescovo – «la dobbiamo porre come condizione del vivere delle nostre comunità, della diocesi. Anche per me vescovo è importante che io possa interagire con le comunità tramite questo organismo che ha il suo mandato ecclesiale. In questo modo favoriamo di più la partecipazione ecclesiale».

«Devo poi sottolineare, e ci tengo molto – ha quindi aggiunto mons. Marangoni – che il Consiglio pastorale non è un’alternativa al ministero ordinato, non è di supplenza ad esso, ma è necessario al ministero presbiterale, al parroco che ha il compito di guidare la comunità. Non è qualcosa di appiccicato. Il fatto poi che il parroco abbia la funzione di presidente del Consiglio pastorale sta a dire che l’uno non sta senza l’altro. Guai se l’istituzione del Consiglio pastorale venisse intesa come rimedio alla mancanza di preti. Anche se avessimo un esubero di presbiteri, il Consiglio pastorale sarebbe necessario, perché è la modalità che anche il Concilio ha posto come condizione di partecipazione dei laici alla cura pastorale delle nostre comunità».

«Parlando alla Chiesa di Roma quindici giorni fa – ha proseguito il Vescovo – il Papa ha detto che la cura pastorale è propria di ogni battezzato e non confligge con ciò che è specifico del ministero ordinato e con l’ufficio di parroco che è di guida pastorale della comunità».

EVENTI ECCLESIALI DI RIFERIMENTO
Per mettere a fuoco il cammino che caratterizza e caratterizzerà la vita diocesana, il Vescovo ha poi fatto presente l’importanza di cogliere il significato di alcuni eventi ecclesiali che si sono succeduti, considerando che non li si può liquidare perché sembra che non dicano niente, «dal momento che un evento ecclesiale è anche nelle mani dello Spirito. Come dicono gli Atti degli Apostoli: «Lo Spirito Santo e noi». Le letture di chi dice: “questo evento non ha prodotto” sono banali, superficiali, e non di fede, non dimostrano consapevolezza ecclesiale».

Il Concilio Vaticano II
Quindi, prosegue il Vescovo, «c’è un Concilio Vaticano II e la Diocesi di Belluno-Feltre si è impegnata (vedi per esempio l’esperienza degli incontri formativi per i preti e i diaconi denominati “Cattedra del Concilio”) e i Vescovi, da Muccin ad Andrich, hanno esercitato il loro ministero con quel faro. Nessuno può oggi dire che il Vaticano II è solo passato perché invece c’è ancora tanto di inesplorato, perché in quel Concilio c’è l’avvenire e forse lo stiamo riscoprendo meglio oggi con il primo Papa che non è stato “padre conciliare”. Il cammino della nostra Diocesi ha un momento forte, di ripartenza con il Vaticano II, che in alcuni aspetti allora impliciti stiamo sperimentando proprio oggi (ma nella storia della Chiesa avviene sempre così: è la ricezione di un Concilio, dopo che si è celebrato, la sua parte più creativa). In questo senso il Concilio è un “evento vivo”, cioè non un episodio isolato e archiviato».

Il Sinodo
«Continuando a guardare al cammino della Diocesi – prosegue il Vescovo – prenderei come secondo faro di luce il Sinodo diocesano, concluso 12 anni fa. So che ci sono molti “luoghi comuni” sul Sinodo, ma sono considerazioni molto terra, terra, forse reazioni di pancia. Non è giusto considerarlo “lettera morta”. Il Sinodo è stato una dinamica che forse stiamo riscoprendo oggi nelle sue potenzialità, non tanto perché ha portato delle soluzioni immediate, ma perché ha intravisto un orizzonte entro il quale inoltrarsi e da coltivare ed elaborare».

Il Convegno “Aquileia 2
«Dopo il Sinodo – sottolinea il vescovo Renato – c’è una terza cosa: il Convegno triveneto Aquileia 2, preparato nelle diocesi fin dal 2010 che ha visto la visita al Triveneto di Benedetto XVI e celebrato nell’aprile del 2012. Ogni Diocesi doveva indicare quello che stava vivendo e io ho ben presente quanto la diocesi di Belluno-Feltre raccontò. Mi colpì la sua lettura di fede del proprio cammino di Chiesa. Qualcuno dice che il Convegno Aquileia 2  “è morto lì”, ma io vedo che quello che è successo dopo con papa Francesco è ciò che era stato anticipato da quel Convegno come metodi, come contenuti, come prospettive, anche come esigenza di sinodalità tra le diocesi del Triveneto, che è una questione che resta aperta e che ha ancora delle fatiche da affrontare. Che 15 diocesi non si incontrino solo formalmente, ma che comincino a mettere insieme, a verificare quali risorse hanno, quali progetti possono condividere e portare a realizzazione non è immediato. Aquileia 2 è come il pane che abbiamo mangiato quando eravamo piccoli, io non lo vedo, però se non ci fosse qual pane lì che ho mangiato da piccolo, oggi non sarei qui».

La “Evangelii Gaudium
A giudizio del Vescovo un altro punto di riferimento è il Convegno nazionale ecclesiale di Firenze con la consegna diretta di papa Francesco alle Chiese in Italia della “Evangelii Gaudium”.

GLI ORIENTAMENTI PASTORALI
Per noi – sottolinea poi il Vescovo Renato – un filo di collegamento con questi eventi che ci stanno a monte e che sono ancora vivi e vitali nell’impegno della loro ricezione, è rappresentato in questi ultimi due anni dagli Orientamenti pastorali, «che fanno diretto riferimento alla consegna di papa Francesco, come indica anche la formulazione del tema che torna sul Vangelo. Si tratta di un punto decisivo. Non è solo un “temino” che ci diamo una volta l’anno, ma è il richiamo attuale e vivo del percorso con l’impegno a dare concretezza alla “Evangelii Gaudium per una Chiesa che non può non essere aperta al futuro e in uscita, non può non vivere della missione e, se in missione, non può non sentire e sviluppare la sua natura profonda di comunione (aspetto su cui stiamo tentando di lavorare).

Le foranie
«Adesso – prosegue il Vescovo – dopo il rinnovo dei Consigli pastorali dobbiamo portare avanti, sperimentandola mentre l’attiviamo, una dinamica di sinodalità a tutti i livelli e con tutti i soggetti ecclesiali. A monte c’è la comunità, non solo quella giuridica, ma quella che vive. I giorni dello Spirito e di comunità avevano proprio l’intento di risvegliare, pian piano, la consapevolezza che c’è una comunità, che si riunisce perché si sente chiamata, che si ritrova, nel nome di Gesù, intorno alla Parola di Dio, che insieme condivide e coglie le sfide del tempo che sta vivendo. Su questo stile di sinodalità dobbiamo continuare e per questo sento l’esigenza che chiariamo il rapporto che intercorre tra le comunità parrocchiali, che ci auguriamo siano comunità vive, evangeliche, ecclesiali. Dobbiamo chiarire, come già abbiamo cominciato a fare, il coordinarsi nell’ambito delle foranie (questo ci ha permesso di chiarire il duplice livello di forania e “zona pastorale” che c’era precedentemente e che ci ha permesso di optare per un’unica mediazione strutturale tra livello parrocchiale e quello diocesano, appunto la forania, per rendere tutto più snello). Se vogliamo, la forania è diventata più aperta e un po’ più ampia, perché c’è una grande esigenza nella nostra diocesi di tenere i rapporti, di collegarsi e la forania ha proprio questo compito di tenere il rapporto tra le parrocchie di un certo territorio e la dimensione diocesana che è costitutiva del nostro essere Chiesa nelle singole comunità parrocchiali. C’è questo snodo della forania sul quale lavoreremo nell’immediato e ora, a seguito del rinnovo dei Consigli pastorali, è possibile attivarla non con persone che si prendono per caso, ma con persone che hanno ricevuto e assunto un mandato ecclesiale».

La scelta di tenere le foranie e non le “zone pastorali” – spiega il Vescovo – «risponde anche all’esigenza di non rendere obesa la nostra struttura, perché se abbiamo due livelli di coordinamento dobbiamo moltiplicare gli incontri, gli organismi… e non ce la facciamo».

Rapporti tra parrocchie
«Con il chiarirsi del discorso delle foranie – continua il Vescovo – per il prossimo anno intravedo un lavoro molto necessario e urgente che in parte è già stato anticipato dalla realtà di tanti parroci (attualmente 45) che hanno più di una parrocchia. Quindi è successo che le parrocchie che avevano l’unico parroco si sono trovate a confrontarsi tra di esse. A me questo ha colpito. Questa questione da alcuni anni sta inquietando le diocesi del Nord e Centro Italia, perché il numero eccessivo di parrocchie, che si sono moltiplicate negli anni in cui avevamo tanti preti, pone un problema che va ben oltre il fatto dei numeri: che rapporto c’è tra le parrocchie, specie se si trovano a lavorare tra di esse? Non c’è solo un rapporto verticale (parrocchia-diocesi), ce n’è anche uno orizzontale (parrocchia-altre parrocchie). La riscoperta di questa dimensione di orizzontalità della comunione non era evidente precedentemente perché ci si rapportava con l’autorità, con l’alto, sempre in senso verticale. Adesso, causa la mancanza dei preti, più o meno la metà della nostra diocesi, con più o meno consapevolezza, ha avviato questa nuova modalità di collaborazione tra le parrocchie, dove viene a svilupparsi anche questo rapporto orizzontale e di reciprocità».

«Avvenuto questo passaggio per molte parrocchie – sottolinea il Vescovo – penso che adesso occorra lavorarci sopra nel chiederci se non sia che tutte le parrocchie debbano gradualmente prendere consapevolezza che i tempi odierni esigono collaborazioni più pensate, più progettate, più organizzate. Tutto questo è bene che sia vissuto non tanto come un aggiustamento strutturale, organizzativo, ma come corrispondenza alla chiamata del Signore a vivere in comunione, dunque in stile di sinodalità che è una dinamica costitutiva dell’essere Chiesa. Non basta che ci sia rapporto tra i responsabili delle parrocchie, tra i parroci, ma ci deve essere anche tra le comunità parrocchiali stesse. Le collaborazioni tra parrocchie evidenziano e sviluppano questa esigenza. Su questo lavoreremo il prossimo anno».

I PRETI ANZIANI
A questo proposito il Vescovo confida di aver contenuto al massimo i cambi pastorali dei parroci «perché vedo che non li puoi più fare, se non tieni conto delle comunità come sono e delle loro possibili collaborazioni. Qui si inserisce una riflessione avvenuta in Consiglio presbiterale in questo anno, in cui si è molto considerata la situazione di anzianità dei preti e soprattutto si è visto quello che canonicamente è previsto come rinuncia, non al ministero ma all’ufficio canonico, quello che comporta una responsabilità diretta di gestione delle comunità o di un ruolo particolare, che comprende anche la rappresentanza legale, che può diventare eccessiva oltre una certa età. Infatti il 75.mo anno è la soglia dopo la quale il diritto canonico chiede che i presbiteri rinuncino a questo tipo di ufficio e quindi riscoprano il loro ministero nel suo aspetto più specifico di esercizio liturgico e sacramentale, di relazione con le persone, di aiuto e collaborazione agli altri presbiteri. Il Consiglio presbiterale ha riflettuto su questo, abbiamo preso alcune decisioni circa un’attenzione negli incarichi da conferire a chi si avvicina ai 75 anni e circa l’importanza che si arrivi sostenuti e accompagnati a questa età che comporta la rinuncia, per avviare una valutazione insieme al Vescovo in vista della scelta più opportuna per esercitare il ministero».

«Il mio intento – confida il vescovo Renato a proposito dei preti anziani – è di non lasciarli soli avviando, se possibile, forme di condivisione. Ci stiamo attrezzando, pensando a una equipe variegata, anche fatta di persone laiche, di altre competenze che possano accompagnare questa stagione di vita che per la nostra diocesi è molta preziosa, per la sapienza ministeriale dei preti anziani e perché possono davvero supportare tante situazioni che altrimenti diventerebbero di emergenza».

GLI UFFICI PASTORALI
«Abbiamo rivisto anche gli uffici diocesani di pastorale», conclude il Vescovo, «riducendoli a 11 da 19 e facendo diventare un unico coordinamento pastorale l’esigenza precedente degli ambiti». Gli Uffici diocesani di pastorale hanno il compito di supportare le comunità e le parrocchie ad esprimere l’orientamento di fondo della diocesi, a coltivare delle relazioni e dei rapporti formativi con le persone che nel territorio operano in quell’ambito particolare di pastorale (ad esempio: Annuncio e catechesi, Caritas, Liturgia, Pastorale sociale ecc.). Certo gli Uffici non dovrebbero essere un di più, ma dovrebbero aiutare le parrocchie e ascoltarne i bisogni e le difficoltà per un’elaborazione coerente a livello diocesano. Tutto ciò a sostegno di una pastorale che vuole essere attenta ai cambiamenti di oggi e che vuole sempre più offrire un contributo, rispettoso, ma anche specifico di presenza e testimonianza evangelica nella nostra vita sociale, in un impegno di “ecologia integrale” come indica papa Francesco nella Laudato si’, inoltre di cura della famiglia come incoraggia il Papa nell’Amoris laetitia.

Questa revisione degli Uffici è anche per tenere vivo il senso della missione delle nostre comunità cristiane. In questo senso, l’incontro che come comunità ecclesiale abbiamo fatto con i parlamentari bellunesi voleva essere espressione di una volontà di esserci, di offrire il nostro specifico per il bene di un territorio che ha delle sue problematiche e delle criticità, un territorio che occorre cogliere nelle sue potenzialità e anche curare nei suoi aspetti più in sofferenza. Questo secondo lo stile del Vangelo e le sottolineature che sta molto efficacemente mettendoci di fronte papa Francesco. Per esempio, chiedendo attenzione alle varie forme di povertà (i poveri nella Chiesa sono un luogo privilegiato dove impariamo come vivere, come migliorare la società, l’umanità e dove Dio ci parla e, quindi, si tratta di un aspetto molto serio). C’è questa prospettiva che può sembrare un po’ in sordina nel nostro fare pastorale. In realtà stiamo compiendo passi delicati e graduali per fare in modo che questo impegno non sia riservato solo a qualcuno più bravo o più “eroe”, ma comporti un risveglio delle comunità».

SIAMO UN POPOLO CHE CAMMINA
«Sia chiaro – conclude il Vescovo – che non si progetta solo a tavolino il cammino di una diocesi, ma è il cammino stesso che diventa anche progetto e dove bisogna leggere la progettualità e darle espressione. Siamo un popolo che cammina, “il Popolo di Dio”: non si tratta solo di “individui cristiani”, così come non abbiamo a che fare solo con degli “uffici” e noi non siamo riducibili a “delle categorie”. Neppure un prete è solo un “individuo”, ma fa parte di un presbiterio e di una Chiesa. Il Popolo di Dio non ha confini, è universale e lo resta sempre ovunque sia. Siamo in pochi? Non importa, siamo “universali” (ecco perché io non userei mai la categoria di minoranza, che dice semplicemente un senso di disagio in rapporto ai di più). La vita di tale Popolo visibile in tante comunità ecclesiali non si può semplicemente programmare a tavolino, ma guardando in faccia alle persone e alle comunità: che devono saper leggere quello che sta avvenendo, leggerlo anche come progetto. C’è un criterio da seguire in pastorale: mentre facciamo apprendiamo e per apprendere bene bisogna senz’altro mettere in atto». Così, poi, conclude il Vescovo: «E tutto questo nel nome di Gesù e del suo Vangelo».

Carlo Arrigoni