Organizzato dal forum di Limena

«La Chiesa che verrà»

Resoconto del dibattito online di giovedì 9 luglio

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«La Chiesa che verrà» è l’argomento di quanto proposto online, giovedì 9 luglio dal forum di Limena, un organismo ecclesiale che nasce dalla volontà di discernere i segni dei tempi. Relatori, Andrea Grillo e il vescovo Renato Marangoni. «Stiamo vivendo tempi straordinari», dice in apertura dell’incontro il sociologo Alessandro Castegnaro, che modererà l’incontro: «tempi rischiosi e assieme aperti a cambiamenti positivi»; e si riferisce alla prima crisi globale, quella del Covid-19, che esprima la difficoltà di fondo del rapporto uomo-natura.

«Le comunità cristiane – nota Castegnaro – non sembrano ritenere queste riflessioni particolarmente interessanti», anche quando queste introducono linee di frattura all’interno delle comunità cristiane stesse. «È come se la storia non le riguardasse” annuncia Castegnaro. Si ha l’impressione che nelle parrocchie e nei Movimenti venga sottovalutata la costruzione della polis, ovvero delle relazioni tra gli uomini: che si sia accettato di non costituire più una comunità educante alla responsabilità e all’impegno civile. Prosegue: «Le Chiese appaiono molto ripiegate sui problemi interni, di riorganizzazione e di aggiustamento amministrativo»; perfino lo stesso dibattito clero-laici è concepito come una questione di divisione del potere ecclesiastico, che come nodo attraverso cui passa il rapporto tra Chiesa, società e storia… «una bega interna anche questa», la liquida Castegnaro. Mentre «i tempi che stiamo vivendo sembrano indurre a uscire da questa dinamica; bisogna s-centrare la Chiesa dalle questioni interne».

Da Castegnaro la parola passa, anche se solo per citazioni, a un anziano monaco benedettino, padre Ghislain Lafont, che ha fatto più di un passaggio a Belluno Feltre negli ultimi vent’anni: padre Lafont scrive, a tal proposito, «le religioni hanno un senso se pongono al centro dei propri interessi la salvezza dell’uomo, ovvero se si prendono cura degli uomini affinché sia loro semplicemente consentito vivere, in modo che siano sconfitte le pandemie che ostacolano la vita». Compito delle religioni è ristabilire la fraternità tra gli uomini; «operare in favore di una cultura attiva della fraternità coincide con l’edificazione del Regno». In questo senso, la Chiesa non viene pensata come un luogo – il tempio e i suoi annessi – dove si svolgono attività specializzate, bensì come tempo di relazioni buone tra i fratelli. È la stessa visione di papa Francesco quando parla, in Evangelii gaudium, di una Chiesa in uscita. Per andare in questa direzione, il monaco Lafont si attenderebbe dalla Chiesa una conversione.

E dal monastero di padre Lafont la domanda viene posta ad Andrea Grillo e al vescovo Renato Marangoni: «come reagire a questa prospettiva e quali conversioni si rendono necessarie?».

Per Andrea Grillo, teologo e docente di liturgia, laico, «l’idea forte dei testi ultimi di Lafont è la simbiosi di una civiltà di fraternità come esito delle religioni e del cristianesimo in particolare». Grillo non fa cozzare tra loro la Chiesa della fraternità e la Chiesa del rito, ma vuole recuperare della tradizione liturgica la maggior forma di uscita («la Chiesa – asserisce – si spoglia della propria centralità quando celebra»). Se il Concilio Vaticano II ha indicato la strada, «noi la seguiamo in modo goffo. Dire, come è stato ripetuto durante la pandemia, ”la Messa è valida anche se la celebra solo il prete” vuol dire non, certo, negare la tradizione, ma renderla incapace di significato: l’atto eucaristico è invece un atto ecclesiale».

Ancora, per Grillo, il tema della fraternità è decisivo, senza soluzione di continuità, nella società e nella Chiesa: anche civilmente, perché «la fraternità fa fatica a rendersi istituzionale, dopo secoli dalla Rivoluzione francese, che pure ne aveva fatto uno dei suoi tre principi». La Chiesa sta nel mondo per creare strutture di fraternità. Oggi, nota Grillo, si vuole essere fratelli «senza padri e senza figli»; la fraternità comporta il riconoscimento del padre (il tema dell’autorità) e della relazione paritaria.

La parola passa al vescovo Renato, il quale fa balenare l’immagine dei discepoli di Emmaus qual è interpretata dall’artista contemporaneo Arcabas (1926-2018): «dopo l’incontro di Cleopa e del suo compagno con il Risorto l’artista raffigura la porta aperta, il cielo stellato, una sedia che si sta rovesciando… quella sedia che si sta rovesciando è un’immagine molto bella di Chiesa in questa stagione che stiamo vivendo». Torna sul tema della fraternità: «nella Chiesa la fraternità è marginale: prioritario è qualcosa d’altro. È rimasto un retaggio della linea verticale, d’autorità, che non si regge se non c’è una base orizzontale», come una pianta troppo alta dall’apparato radicale poco esteso ed esposta alle varie Vaia. Propone una «pratica di riconciliazione nella Chiesa, per essere riconciliati con la storia».

Dopo i primi due interventi, Castegnaro, da moderatore, nota come la dimensione fraterna sia civile ed ecclesiale insieme e nota che «la Chiesa esce innanzitutto quando celebra»; stuzzica, se il verbo non fosse improprio di fronte alla serietà del tema quando chiede se in molte celebrazioni non si senta l’assenza della dimensione del «fuori”, come prova l’assenza del tema immigrazione nelle omelie. Sottolinea la convergenza nell’idea di costruzione della fraternità: «non sarebbe bene riflettere con maggiore attenzione sulle tendenze di fondo della nostra società? Quali difficoltà su questa via?» chiede al vescovo Renato.

Ed ecco la risposta: «come Chiesa locale – vuol dire inserita, non eterea, che non esiste senza la storia – siamo, purtroppo, dis-locati – risponde il vescovo – Viviamo in un luogo che non è quello odierno”. Al numero 71 di Evangelii gaudium, papa Francesco dice: «abbiamo bisogno di riconoscere la città, a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede», il che implica non fabbricare la presenza di Dio, ma scoprirla: «Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero». Davvero coraggioso, secondo il vescovo, è il Papa: «vedo ricomposta da Francesco quella possibile tensione con chi dice che la Chiesa sta virando verso una dimensione umana nel senso di troppo umana, orizzontale: il Vangelo entra, però, nel vissuto». Proprio per arrivare a scoprire questo modo di essere Chiesa, sente l’esigenza di «una pratica di riconciliazione nella Chiesa, per essere riconciliati con la storia; e questa pratica della riconciliazione domanda che siamo più coraggiosi nella fiducia vicendevole».

Andrea Grillo si aggancia a quanto detto dal vescovo Renato: duecento anni fa nacque l’autonomia del mondo secolare in forma nuova; con le grandi rivoluzioni, è il suo giudizio storico, «la Chiesa cattolica si sentì morire», perché venne meno il linguaggio classico dell’autorità con cui aveva vissuto dall’epoca della Riforma gregoriana; l’esito fu una tendenza a demonizzare il mondo moderno. «Per reagire bene a questa temperie – dice Grillo – bisogna dare fiducia: disporsi a poter imparare qualcosa dal mondo che abbiamo intorno. Questo è decisivo per capire Giovanni XXIII, il Concilio, papa Francesco; è Giovanni XXIII ad aver fatto sua la categoria evangelica dei segni dei tempi, che sessant’anni fa erano, e forse lo sono ancor oggi, la liberazione dei popoli, la dignità dei lavoratori, la dignità nel pubblico delle donne. La Chiesa non deve solo insegnare, ma anche imparare”. Invece «il cristiano, non solo il clero – continua Grillo – vive con l’idea di trovare nella dottrina la soluzione a tutti i problemi. La macchina a vapore, le ferrovie, la luce elettrica e il cinema, come i diritti umani e la democrazia, sono stati traumi per la Chiesa: e per difenderci da queste cose, siamo diventati altrettante cose, e tradotto la dottrina in un’ideologia». Riprende il libro di Lafont «Un cattolicesimo diverso» dove nota che l’autore lavora molto su due concetti: il concetto di sacrificio e il concetto di sacerdozio, a cui unire quello di sacramento. Abbiamo una tradizione di Chiesa che si impernia su questi tre concetti: questi linguaggi vanno custoditi, e quindi non ripetuti da pappagalli», ragion per cui Grillo propone di passare dalle tre “esse” di sacrificio, sacerdozio e sacramento, a una teologia che rifletta su tre ”ti”: tavola, talamo, toilette, ovvero mangiare, dormire in unione sessuale, pulizia propria e altrui (ove si intende per “pulizia” la cura dell’altro, ndr). «Se la connessione non c’è – è la convinzione di Grillo – noi perdiamo l’esperienza ecclesiale».

Castegnaro chiede che cosa è mancato nei teologi e nei Vescovi italiani nell’esperienza della pandemia; riferisce il rapporto del Censis sulla reazione delle varie istituzioni al Covid. Nel capitolo 9, dedicato alla Chiesa cattolica, campeggia il titolo: «L’impreparazione della Chiesa italiana». Grillo a Castegnaro risponde col Dies irae: «quidquid latet apparebit»; con le mascherine sono cadute alcune maschere; e la caduta più impressionante è che nel momento della difficoltà il linguaggio prevalente, al centro (Roma) e in periferia (Chiese nazionali), è stato formale e istituzionale. Dal centro di Roma si è detto che la celebrazione della Pasqua è un «dovere dei chierici», con un lessico di cento anni fa. «Nel momento delle gravi difficoltà, non si può parlare di indulgenze, un linguaggio che nessuno capisce più», insiste Grillo, che spezza una lancia sull’elaborare linguaggi capaci di tradurre la Tradizione.

Sulla questione del linguaggio il vescovo Renato propone il passaggio da «fides et sacramenta» a «Vangelo e dono dello Spirito»: «sono questi i polmoni che si aprono». Tra i dettagli positivi nota che in qualche chiesa «sono stati tolti i banchi e messe le sedie». Ha sperimentato che «fuori delle chiese è successo qualcosa di positivo: nel Consiglio pastorale diocesano ho visto cadere le posizioni iniziali di rigidità e contrapposizione» e legge alcuni contributi. Bisogna liberare la preghiera: «soffro tremendamente quando qualcuno mi impone la sua forma, come chi dice: se non fai adorazione eucaristica non preghi». Spera che quanto è capitato nelle case, con la liturgia domestica, possa svelarsi: «la liturgia, non si può relegare in un luogo».

don Giuseppe Bratti