A cura di don Sandro De Gasperi (14ª domenica del tempo ordinario - anno C)

L’identità del discepolo

L’incontro con Gesù costituisce l’unica ricchezza, l’unico mezzo, l’unica speranza, l’unico fine dell’essere cristiani

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Le carte d’identità erano meno tecnologiche e più delicate della tesserina che oggi le sostituisce, ma avevano un fascino e un’autorevolezza tutta particolare: raccoglievano i dati fondamentali di una persona, l’altezza, la professione, il colore degli occhi e dei capelli, i “segni particolari”.

Sia il passo di Isaia, sia il brano paolino, sia la pagina di Luca ci presentano, con essenzialità e concisione, chi è e che cosa fa il discepolo di Cristo: una sorta di carta d’identità, che possiamo tenere nella mente e nel cuore per orientarci. Se i segni particolari sono propri della vocazione e della personalità di ciascuno, vi sono dei tratti che sono comuni a tutti: l’invio a due e due, la preghiera, l’incontro con Cristo come sostegno e forza nel cammino di sequela. I discepoli vengono inviati a due a due: ne partono settantadue – tanti quanti sono, secondo la tradizione ebraica, le nazioni della terra –, ma portano il Vangelo con il loro vivere insieme, condividendo le sfide e le soddisfazioni del cammino.

La prima preoccupazione che Gesù suggerisce ai discepoli – al contrario di quanto ci aspetteremmo – non è la diffusione della Parola, ma la preghiera, della quale Luca spesso ribadisce l’importanza e la necessità. Il Vangelo non obbedisce alle logiche del marketing commerciale, ma si nutre della relazione con Dio e con i fratelli e le sorelle. Un rapporto fragilissimo, che richiede pazienza e tenacia per essere instaurato e custodito, costituisce la ricchezza che i discepoli hanno nel compimento della loro missione e fa nascere una gioia intima e profonda.

Isaia si dilunga nella descrizione della gioia che il Signore promette a coloro che si fidano di Lui, a coloro che Lo seguono: non è l’allegrezza di un momento spensierato, e neppure l’illusoria consolazione di un aldilà lontano, ma il seme che sostiene e tiene vivo il cammino del discepolo. La consapevolezza di essere inviati – ed attesi quando si ritorna, colmi di stupore e di esperienze da raccontare, come ci testimonia il Vangelo di oggi – è quanto basta al discepolo per stare come agnello in mezzo ai lupi, per superare il rifiuto che inevitabilmente incontrerà nel suo percorso, per accontentarsi di ciò che gli viene offerto. Non serve nient’altro, per il cammino del discepolo, che l’incontro profondo con Gesù Cristo: Paolo afferma di portare “le stigmate di Gesù sul suo corpo” (cfr. Gal 6, 17) non per ricerca del sensazionale a tutti i costi o per vanagloria personale, ma per ribadire l’intensità dell’esperienza con Gesù, diventata così totalizzante da entrare a far parte del suo stesso corpo, delle sue stesse membra. Nella preghiera di colletta che ci introduce nella Liturgia della Parola di questo giorno abbiamo chiesto che «la Chiesa annunci la venuta del regno [di Dio] confidando solo nella forza del Vangelo»: ognuno di noi, nel Battesimo, è entrato a far parte della Chiesa, ad ognuno di noi è stato affidato il compito e l’onore di testimoniare l’incontro che ha avuto con il Signore Gesù.

Siamo anche noi in quei settantadue, inviati a portare la buona Notizia della compassione di Dio, a testimoniare la tenerezza e la bellezza di Dio, a riconoscere le azioni di Dio che arrivano sempre prima di noi e a lodare il Signore con cuore colmo di gratitudine e di stupore per le meraviglie che non si stanca di operare nei luoghi dove cerchiamo di vivere e di raccontare il Suo Vangelo.

Non ci viene chiesto, oggi, di aggiornare la nostra carta d’identità con tessere elettroniche o di aprire profili online per migliorare i processi della pubblica amministrazione, ma di rinnovare, nell’ascolto della Parola, nella comunione all’Eucaristia, il nostro incontro con Gesù. Che costituisce l’unica ricchezza, l’unico mezzo, l’unica speranza, l’unico fine del nostro essere cristiani. Ci venga incontro il Signore e ci doni la Sua pace, ci doni la Sua gioia!