Mi vedo un prete contento anche fra 25 anni

Il 16 ottobre prossimo don Sandro De Gasperi sarà ordinato prete. Si presenta in una breve intervista

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Per don Sandro De Gasperi, diacono, è ormai prossima l’ordinazione presbiterale, che si terrà il 16 ottobre prossimo nella Cattedrale di Belluno. In questa intervista si presenta, raccontandoci anzitutto qualcosa di sé e della sua famiglia di origine.

«Ho 26 anni e sono originario della parrocchia di Caviola, dove sono cresciuto, in mezzo alle montagne e ai boschi, con la mia famiglia, con tanti amici che mi hanno voluto bene. La mia famiglia è composta da mamma e papà, mio fratello e io. Siamo una famiglia molto unita, e poi ci sono tanti zii e cugini, con cui abbiamo un bel rapporto».

Una vocazione nasce in una comunità cristiana: c’è qualche ricordo, qualche persona verso cui senti un dovere di gratitudine?

«Mi verrebbe da dire che la gratitudine va a tutta la comunità cristiana. Sono tantissime le persone che hanno incrociato la mia strada e che mi hanno aiutato, chi più in maniera visibile, chi in maniera più nascosta e silenziosa, ma non meno importante. La gratitudine va prima di tutto al mio parroco don Bruno De Lazzer, che è stato per me un esempio, nella sua semplicità e nella quotidianità. E poi ai tanti collaboratori che, si sono sempre messi in gioco e che hanno fatto crescere la comunità. Al gruppo giovani, di cui prima sono stato membro e poi animatore: è stato un veramente un motore grande e anche un motivo di speranza e di fiducia grande».

Diventare prete vuol dire anche essere un po’ “espiantati” dal proprio paese, per essere trapiantati altrove. Come vivi questo?

«Io sono attualmente in servizio a Feltre. Là mi prendono un po’ in giro, perché nel mio ufficio, sopra il computer, c’è una grande foto del monte Civetta, che a Caviola vedo dalla finestra di camera mia a casa. È vero che si viene espiantati, è vero che si è chiamati a lasciare le cose belle del proprio paese, ma la bontà e la bellezza che ho potuto respirare e che tante persone mi hanno trasmesso, queste rimangono e le porterò con me. Allora non si è fisicamente dove si è nati, ma si è dove si è mandati, grazie a quanto il paese dove sono nato mi ha dato e mi ha regalato. Penso che sia questa in qualche modo la chiave, che apre altre porte. Per cui vivo con un po’ di nostalgia, ma anche con tanta gratitudine, sapendo che comunque il mio paese è con me, anche in questa ultima parte del percorso di formazione. Quello che sono, lo devo anche al mio paese».

Ci troviamo nel Seminario Gregoriano di Belluno: le sue mura non sono vuote, però non ci sono più seminaristi. Tu hai studiato a Trento e sei il primo frutto di questa decisione di cinque anni fa. Che impressione hai avuto di questa nuova esperienza?

«La Chiesa di Trento è riuscita a essere “casa” anche per noi seminaristi di Belluno, ci ha accolto bene. Per me è stato un grande regalo l’esperienza che potuto fare a Trento, un’esperienza di apertura, di respiro, di collaborazione, fatta di tanti incontri e tante relazioni, che rimangono anche adesso che non sono più a Trento. È stata una bella occasione di arricchimento e di crescita, anche nel sentire di Chiesa. Penso che possiamo ringraziare, sapendo però che non siamo solo debitori; qualcosa di Belluno-Feltre noi l’abbiamo portato a Trento, in uno scambio reciproco che le due Chiese si fanno, un dono reciproco che è arricchimento per entrambe».

Hai uno spiccato “senso teologico” nel leggere le cose e pertanto ti chiedo qual è la materia nella quale hai brillato di più, anche se le voci dicono che sei stato brillante in tutto.

Mi ha appassionato molto lo studio di tutta la teologia, in particolar modo quando si tratta la persona di Gesù, il mistero di Dio e l’uomo nel pensiero teologico, quelle materie che in gergo tecnico si chiamano cristologia, trinitaria e antropologia teologica…

Andiamo sul difficile… Alla vigilia dell’ordinazione, ti chiedo di immaginarti fra 25 anni: come ti vedi con questa vita ecclesiale, in cui tutto cambia in maniera così repentina?

«Io mi vedo un prete contento anche fra 25 anni e spero davvero di poter portare il Vangelo vicino alla gente, con quello che sono. Spero che allora avrò imparato ad ascoltare il Vangelo, che mi viene annunciato dalle situazioni che incontro e dalle persone che incontro, dalle comunità che incontro».

Durante la recente assemblea sinodale, ti ho sentito fare una sorta di perorazione in difesa dei preti. È evidente che non difendevi te stesso. Però mi nasce questa domanda: come guardi noi colleghi “stagionati”?

«Con grande ammirazione, perché vedo tanti preti che davvero vivono con fedeltà e gioia la loro vocazione. Però mi sembra di cogliere che ogni tanto i preti siano lasciati un po’ da soli, magari nei cambiamenti, nelle varie collaborazioni che stiamo avviando. Penso che il segreto per camminare insieme sia volersi bene, accettando i limiti e i difetti che ognuno di noi ha. Penso che dietro ogni prete c’è una storia d’amore, una storia di attrazione, una storia di servizio: questa va valorizzata, accolta e stimata, non perché i preti siano migliori degli altri, ma per camminare semplicemente insieme».

Grazie, don Sandro, per questo tempo che ci hai dato. Ti facciamo tanti auguri e… ricordati di noi.

Reciprocamente. Grazie.


[intervista di don Davide Fiocco, con il supporto tecnico di Luigi Guglielmi]