A cura di don Giorgio Aresi (4ª domenica di Quaresima - anno C)

Non è un padrone, ma rimane suo padre

Tutto ricevi come dono, perché c’è qualcuno che ha cura di te e che ti ha a cuore da sempre

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Arthur: «Chi sei tu per dirmi cosa devo pensare?».
Merlin: «Sono vostro amico».
Arthur: «No, Merlino, tu sei il mio servitore».

(Merlin, Serie TV BBC 2008, Stagione 1 Ep. 7).

In fondo è qualcosa che accade anche a noi: di fronte all’altro non parla il cuore, ma solo il “diritto”; non vedi l’umanità di quella persona, ma solo quello che ti spetta. Non è facile capire, ma il Vangelo di questa Domenica della “gioia” (“Laetare”), allarga lo sguardo sulla vita di ciascuno di noi. Ed è il Vangelo a prenderci per mano: il racconto di Gesù del “Padre misericordioso”.

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. (Lc 15,11-12).

È un figlio – sì, si rivolge al proprio padre – ma “dammi”…, tu mi devi questo! E questo vale anche per noi, quando non è quello che il cuore mi dice ad avere valore (sì, tu sei mio padre), ma solamente quello che mi spetta. In ogni relazione, quando non c’è spazio per niente se non per me e i miei diritti, alla fine mi chiedo: ma che relazioni mi trovo a vivere nella mia vita? Come il giovane Merlino, nei confronti di Artù (che poi sarà, anzi è già, suo amico): non c’è la possibilità di vedere l’altro come “amico”, “fratello”, dove il cuore ha più valore che il “dovuto”. Non c’è spazio per un’umanità vera (il padre non è un padre, ma qualcuno da sfruttare) se non vedi l’altro come un “dono” per la tua vita, ma come colui che ti “deve” solamente qualcosa

Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. (Lc 15,13).

È l’idea di chi pensa: basto a me stesso; il padre non mi serve più. Ed è la stessa cosa con Dio, che in fondo è proprio quel padre: non è che Dio non esista, semplicemente non mi serve. Ma alla fine ci si accorge di qualcosa: Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. (Lc 15,14).

Quel figlio non riesce più a capire chi è. E così è per noi: quando rivendichi solo “diritti”, credi di bastare a te stesso e alla fine non sei più chi sei e non hai più nemmeno un nome. Eppure posso cambiare il mio sguardo su me stesso e sugli altri? E quando?

Allora ritornò in sé (Lc 15,17). Nonostante la critica esegetica dica che il pentimento di quel figlio avviene solo per la fame e la situazione in cui si trova, tuttavia credo che quello che accade a quel figlio si possa leggere in un modo differente. Cambia qualcosa nella tua vita quando lasci parlare realmente il tuo cuore, quando fai esperienza di ciò di cui hai bisogno realmente, e ti manca; ed è la domanda che ognuno di noi non dovrebbe stancarsi di fare a se stesso: ma a me cosa manca davvero nella vita? E quando il cuore inizia parlare, come a quel giovane figlio, il cuore ti parla e ti accorgi che in fondo niente ti è dovuto nella vita, e che tutto lo ricevi come dono perché sei amato e c’è qualcuno che ha cura di te e che ti ha a cuore da sempre.

Un giorno Arthur, a poco dalla morte chiederà a Merlin: «Perché fai questo?». E la risposta di Merlin: «Perché siete il mio amico ora». E, se guardiamo al Vangelo, sono i gesti del padre che a leggerli ti fanno capire: Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. (Lc 15,20).

Questo figlio vede che suo padre lo sta aspettando; non è un padrone, ma rimane suo padre. Allora che cosa posso capire della mia vita? Dove sta la capacità di vivere e di amare? Quando nella vita, di fronte le proprie presunzioni, sono io a fare il primo passo. Quando, come il padre, non rivendico nulla. Ma posso anche capire – ed è quello che Gesù mi mostra del vero volto di Dio che è Padre – che nella vita ciò che ho non è un diritto da pretendere, ma solo un dono ricevuto.

Solo quando avrò il coraggio di rinunciare alle mie presunzioni, allora potrò sentire il bisogno di ammettere che anch’io qualche volta posso avere sbagliato.