Seconda domenica di Pasqua

«Mio Signore e mio Dio»

a cura di don Renato De Vido

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Non ci racconta il vangelo se Tommaso ha effettivamente fatto la verifica che aveva promesso, se ha toccato con la mano. Si è accorto di aver osato troppo e di essere stato sfacciato? Oppure quelle ferite gloriose erano risposta sovrabbondante ai suoi dubbi?

1. È il primo dato che si presenta agli occhi: una specie di affettuoso braccio di ferro tra Gesù e un suo discepolo fidato. Tra la ragione e la fede, o tra la ragionevolezza e la fiducia. La ragione suggerisce a Tomaso di dichiarare la sua autonomia, la sua raggiunta maturità. La fede lo fa inginocchiare e confessare una presunzione mista a un amore sconfinato. «MIO Signore e MIO Dio».

A distanza di una settimana dalla Pasqua, anche noi possiamo ritrovarci alle stesse condizioni. Sì, abbiamo celebrato la resurrezione; eppure scoviamo sempre dei dubbi, delle riserve che rendono meno facile una fede limpida.

Credere è effettivamente lasciare un’autostrada per un sentiero ripido. Tomaso ne ha sentito la fatica, eppure lo veneriamo come santo e come maestro di fede. Non è il “patrono degli increduli” – come si scrisse e si disse spesso. È il patrono di chi ama il Signore grazie alla fede che cerca e alla ragione che trova.

2. Un secondo dato è l’insistenza sulle ferite della passione: sembra che tutto si giochi su un particolare della persona fisica di Cristo (il posto dei chiodi, il costato).

Il vangelo non mette le cose a caso, anzi le carica di significati; e sottolineare le caratteristiche della passione era un modo per accertare che si trattava proprio di Gesù, non di un sosia o di un trucco. La sua carta d’identità – il Risorto – recava quasi le impronte digitali del Cristo precedente. Non si possono disgiungere le tappe, benché di mezzo ci stia la resurrezione.

3. In questa consapevolezza cresceva la prima generazione dei credenti. Lo abbiamo sentito: unanimi nella carità e nella preghiera, nella formazione e nella celebrazione eucaristica. Stavano bene insieme perché il centro unificatore non era uno di loro, ma il Signore stesso.

Vorremmo arrivare esattamente qui: che ci danneggia, molto spesso, è quel benedetto individualismo, il fare da soli, il saltare la necessaria mediazione della comunità. Viceversa, se il punto di riferimento è il Signore, prima o poi ci possiamo incontrare.

Nella liturgia di questa seconda domenica di Pasqua c’è un supplemento di aiuto: la festa della Divina Misericordia. Fu San Giovanni Paolo II a istituire questa denominazione per la domenica dell’ottava di Pasqua, al seguito delle rivelazioni mistiche che il Signore fece a Santa Faustina Kowalska.

Le piaghe aperte di Gesù, punto di appuntamento con l’amico Tommaso apostolo, divennero un’immagine sacra molto conosciuta ormai: dei raggi bicolori che escono dal corpo glorioso del Risorto, e annunciano la conseguenza di un amore senza confini che noi, senza paura di sbagliare, chiamiamo “misericordia”.

O, per ripetere l’intramontabile espressione di Tommaso, «Mio Signore, e mio Dio».