Biglietto da visita - 1

Sinodalità, parola buona che rispecchia la novità evangelica

Prima riflessione del Vescovo in vista della prossima assemblea sinodale

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«Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due» (Mc 6,7). L’evangelista Marco ci ha dato questa notizia sulla decisione di Gesù che riguarda la missione affidata ai Dodici. E penso alle altre sue parole: «Il Padre è in me e io nel Padre» (Gv 10,38b). E poi ancora: «Manderò dal Padre lo Spirito della verità che procede dal Padre: egli darà testimonianza di me» (Gv 15,26). Da risorto, egli affianca due discepoli che se ne tornano ad Emmaus: con loro spezza il pane ed essi riprendono il cammino e raggiungono gli altri da cui si erano staccati.

Gesù era stato esplicito: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). C’è una scena di fragrante bellezza, tutta al femminile, in cui fioriscono le promesse di umanità futura in due grembi che sussultano. Anche qui “a due a due”: Maria di Nazareth abbraccia Elisabetta e in quell’incontro le due donne percepiscono e irradiano la sorprendente novità di Dio. Dio stesso si è affacciato sul mondo proprio quando la vita diventa “a due”: «Maschio e femmina li creò» (Gn 1,27). Lì vi è la sua immagine e, in tal modo, noi tutti assomigliamo al Creatore.

Ma c’è un senso che possa dare ragione di questo “essere a due a due”? Significa che senza l’altro, senza gli altri, “uno solo” rappresenta una sorta di realtà incompiuta e si scopre “in ricerca”, come attesa di un incontro, di un affiancamento, di una reciprocità, di un camminare insieme, similmente ad una promessa che cerca adempimento.

I saggi dell’antichità si erano posti la questione. Nel Qoélet si abbozza una risposta: «Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, uno rialza l’altro. Guai, invece, a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi» (4,9-10). “A due a due” la vita stessa ne esce rafforzata: solo così c’è umanità compiuta.

Papa Francesco ha creato questa immagine: “Chiesa in uscita”. Forse ha pensato a Pietro e Giovanni che insieme «stavano per entrare nel tempio» di Gerusalemme, quando incontrano «un uomo, storpio fin dalla nascita» a cui dicono: «Guarda verso di noi […]. Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (At 3,1-6). Inoltre il Papa potrebbe aver pensato ai suoi predecessori, Pietro e Paolo, che erano giunti a Roma per diventare “apostoli fondatori” proprio “a due a due” di quella Chiesa la cui pietra angolare è Cristo. Vi sono giunti in modalità e tempi diversi ed essendo l’uno alquanto dissimile dall’altro, ma “a due a due” caratterizzano l’inizio della “Chiesa in uscita”. Gesù non ci ha consegnato una dottrina, una proprietà, una verità. Ci ha consegnati all’altrui vita per conoscerla, incontrarla, accoglierla e, in questa reciprocità, donarla: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).

Ecco da dove scaturisce quella cosa reale e concreta che chiamiamo “sinodalità”. Nei nostri percorsi ecclesiali avevamo cancellato questa parola, perché ci suonava strana e non rappresentava ciò che ci piaceva… Anche oggi ci risulta esoterica, astrusa e astratta e forse anche ci infastidisce… E, invece, è una parola buona che rispecchia la novità evangelica di ciò che indica, la promessa a cui ci affida, il coraggio a cui invita, la libertà che richiede, il futuro verso cui apre, la responsabilità a cui ci chiama, lo stile in cui immette: camminare insieme. Rispecchia nel tempo ecclesiale ciò che intese fare Gesù allora, nel tempo degli inizi del Vangelo: «Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due» (Mc 6,7).

Papa Francesco ha rotto ogni indugio: «Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (nel 50° istituzione del Sinodo, 17-10-2015). Con questo egli fa eco alle parole di Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

Il Vangelo non si recita come una cantilena, non si usa come una chiacchiera, neppure è contenibile in una dottrina, o traducibile in una legge. Esso non è un decreto di prescrizioni, tantomeno una dichiarazione di guerra. Ha la concretezza della vita che si fa insieme – “a due a due” – ha il senso del cammino condiviso e così può veicolare la profezia del Risorto e immettere nell’attesa di Lui.

+ Renato, vescovo