A cura di don Vito De Vido (3ª domenica del tempo ordinario - anno C)

Sono venuto per manifestarvi l’amore del Signore

Accogliamo sempre il Vangelo, non come mappa da seguire, ma come stella che orienta il cammino

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Uno degli obiettivi degli incontri di catechesi parrocchiale è che conosciamo la storia di Gesù. È anche lo scopo per cui san Luca scrive il suo Vangelo e lo completa con gli Atti degli apostoli, quasi un unico libro diviso in due parti: dall’annunciazione alla risurrezione di Cristo, e dalla Pentecoste alla diffusione del Vangelo fino agli estremi confini della terra.

Il cammino della Chiesa, però, non corrisponde alla conoscenza delle pagine del Vangelo, ma la Chiesa si diffonde se Cristo è amato e conosciuto. Uno dei motivi che spinge molti a dedicare la vita a Dio non è per conquistare nuovi seguaci, ma perché amando Dio come ce lo ha rivelato Gesù, è il desiderio che questo amore sia conosciuto. Nella storia del cristianesimo i periodi più fecondi di santità si hanno quando le pagine del Vangelo non restano lettere scritto su un pezzo di carta, ma quando cominciano a essere incise nel cuore.

È stupefacente vedere come anche illetterati, poveri che mai e poi mai hanno avuto un Vangelo in mano, in cui non era neppure lontanamente possibile immaginare di tenere in mano un libro, abbiano scritto le pagine più belle della storia dell’umanità. Alle generazioni e generazioni che ci hanno preceduto non è servito aver la possibilità di leggere di persona il Vangelo, ma sentir ripetere nella propria lingua una frase, un concetto, un episodio della vita di Gesù per decidere di cambiare totalmente, o per dare inizio a tante forme di assistenza, carità, catechesi.

San Paolo dice che egli non è venuto per presentare Cristo con parole difficili, per stupire i sapienti, e che non desidera perdere tempo per convincere gli increduli con lunghi discorsi, ma che ha una cosa sola di cui parlare: di Gesù, e di Gesù crocifisso e risorto. Tutto parte da lì: dal Calvario, che è sì il luogo della crocifissione, ma è anche, a pochi metri, il luogo del sepolcro vuoto. Luogo di sofferenza e morte, ma soprattutto luogo di speranza e gioia.

In ogni epoca storica, in ogni lingua, popolo e nazione questo annuncio ha trovato diverse declinazioni: ha ispirato i primi cristiani a dare la vita per la fede in Cristo, ha convinto ragazze a preservare la loro verginità e consacrarla a Dio, ha spinto generazioni e generazioni di uomini a servire con dedizione la diffusione del Vangelo e offrire i sacramenti della Vita Eterna nel sacerdozio.

Continua a incitare schiere di missionari e missionarie a recarsi negli angoli del mondo, nelle periferie delle città a cercare l’uomo che si è perduto – come il figliol prodigo – dietro le cose di questo mondo a tornare alla casa del Padre, anzi a ripetere che c’è una casa e c’è un Padre sempre pronti ad accoglierli e far festa per loro!

Gesù ripete la profezia di Isaia, ma non arriva in fondo alla pagina. «Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». La profezia infatti continua così: «ad annunciare il giorno della vendetta del nostro Dio».

Gesù usa raramente immagini di vendetta, punizione, castigo, e sempre in generale, mai rivolti ad una persona specifica. I suoi incontri con i peccatori e coloro che hanno sbagliato non è mai giudizio di condanna, ma secondo quello che ha proclamato a Nazareth, è annuncio di salvezza, gioia, perdono, liberazione, comprensione, amore, incoraggiamento al bene. Quando il Vangelo diventa duro, chiude porte invece di aprirle, sbatte in faccia difetti e mancanze, non incoraggia, ma umilia e annienta l’umanità, non è più Vangelo di Cristo. Se il Vangelo non è fiamma d’amore, che arde, riscalda, brucia, ma diventa fredda indicazione di cose da fare o non fare, perde di fascino e non interessa più a nessuno.

Potremmo celebrare migliaia di “domeniche della Parola di Dio”, ma se ci limitiamo a mettere un libro in bella mostra, ma non lo viviamo, facciamo diventare il Vangelo un idolo, vuoto di Cristo e del suo amore per gli uomini e le donne di ogni tempo. La misericordia di Dio non è finita! È per noi, per ciascuno di noi. Anche se i nostri peccati fossero neri come silicio, e le nostre colpe rosse come scarlatto, la Parola del Signore ci rende bianchi come neve, candidi come lana lavata e stesa al sole.

Accogliamo sempre il Vangelo, non come mappa da seguire, ma come stella che orienta il cammino. La mèta è il cielo: possiamo sbagliare, cadere, ma lo scopo della vita è seguire Cristo, ovunque egli ci conduca. Egli continua a ripetere anche a noi: «Vieni, seguimi. Non temere: tu sei prezioso ai miei occhi, e io non voglio perderti».