A cura di don Sandro De Gasperi (15ª domenica del tempo ordinario - anno C)

Tutti siamo l’“altro”!

Prendiamo coscienza di essere stati e di essere anche noi “l’altro”

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C’è una domanda che dovrebbe scuoterci un poco, quando ci accostiamo alla parabola del Samaritano; una domanda che aver sentito tante volte questo brano, averlo tradotto – talvolta forse in maniera maldestra – subito in regole di comportamento rischia di eludere, di scartare per non essere più di tanto provocati dalla Parola di Dio.

«Come leggi?», chiede Gesù al dottore della Legge, che l’evangelista ci suggerisce mosso dal desiderio di mettere alla prova Gesù. È una domanda che viene posta anche a noi, proprio mentre ci accingiamo a leggere uno dei passi più conosciuti, più amati, più raffigurati del Vangelo di Luca: sembra suggerirci che non siamo mai nello stesso luogo, quando ascoltiamo la Parola, quando la immaginiamo, quando entriamo nei personaggi, quando ci immedesimiamo in loro assumendo ruoli e identità per sentire il Vangelo vicino a noi, nella bocca, nella mente e nel cuore.

Una canzone di un cantautore italiano contemporaneo, Niccolò Fabi, che si intitola Io sono l’altro, può forse aiutarci a stare di fronte a questa domanda, a rispondere con sincerità: presenta una galleria di personaggi comuni e non, che sono, per l’ascoltatore, “l’altro”, che si incontra sulle strade della nostra quotidianità, che provoca reazioni di repulsione, di rabbia, di compassione e di affetto, che smuove e disturba, che improvvisamente fa irruzione nella vita. Tutti siamo “l’altro”! Prendiamo coscienza di essere stati e di essere anche noi “l’altro”, il ferito, per chi si avvicina a noi per guarire le nostre ferite, per chi incontriamo tutti giorni nei luoghi di lavoro e di svago. Prendiamo consapevolezza che siamo stati, a volte, anche sacerdoti e leviti, che sono passati oltre non necessariamente per cattiveria, ma magari perché avevamo altro da fare, perché stavamo tornando a casa (come il sacerdote) o per non rischiare di “contaminarci” (come il levita, strettamente legato alle normative rituali), o – ancora – perché abbiamo pensato che altri avrebbero potuto fare più e meglio di noi. Riconosciamo anche di essere stati, per qualcuno, samaritani che si sono fermati, che hanno saputo fasciare le ferite con il balsamo dell’ascolto e della cura amorevole e discreta.

Le parabole ci raccontano, con concretezza e plasticità, come Dio agisce nella storia degli uomini: vediamo la presenza di Dio, considerando l’umanità ferita del malcapitato, soffermandoci sulla capacita del samaritano di riconoscere l’«immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), che ogni uomo e ogni donna custodiscono e di riportarla in luce. Dio si fa presente, nella nostra vita, nel fratello che possiamo soccorrere, nella sorella che ci assiste in un momento faticoso: la fraternità, che possiamo accennare nella concretezza delle nostre vite, nei piccoli gesti di attenzione che possiamo fare, è segno visibile di Dio. La parabola del Samaritano ci ricorda, semplicemente, che Dio è vicino all’uomo, quando è in grado di aiutare un malcapitato e quando ha preso un sacco di legnate: Cristo Gesù, pienezza di Dio, è il Dio vicino, la sorgente della pace, il germoglio di un’umanità nuova. La Chiesa, di cui Cristo è il capo, è samaritano, quando continua questa vicinanza, la rende presente nella storia, la avvicina agli uomini e alle donne di ogni tempo; e quando è debole, anche quando, lungo il cammino, cade preda dei briganti, la Chiesa vive della cura del Suo Signore, che non cessa di sostenerla, di versare sulle sue ferite «l’olio della consolazione e il vino della speranza», come canta la liturgia. È una parola che è molto vicina a noi, «nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,14): sì, perché tutti siamo, gli uni per gli altri, l’”altro”!