A cura di don Giorgio Aresi (Solennità dell'Ascensione - anno C)

Un incontro che cambia la vita

Abbiamo bisogno ogni giorno di prendere in mano la nostra fede e aprire il cuore alla fatica di riconoscere i segni della presenza di Dio

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Vorrei restare per sempre in un posto solo
Per ascoltare il suono del tuo parlare […]
Dimenticando il tempo troppo veloce […]
Che l’oggi restasse oggi senza domani
O domani potesse tendere all’infinito
E lo vorrei
Perché non sono quando non ci sei
E resto solo coi pensieri miei ed io
Vorrei restare per sempre in un posto solo
Dimenticando il tempo troppo veloce
Che l’oggi restasse oggi senza domani
(F. Guccini, Vorrei, 1996)

 

Non c’è bisogno di molto per capirlo: ci sono momenti nei quali vorresti fermare il tempo, vorresti che qualcosa non finisse, vorresti che quell’istante durasse un’eternità. E questo succede il più delle volte quando vivi la presenza di chi ami, quando puoi essere lì in quel momento e guardare negli occhi, parlare, toccare con le tue mani, in un abbraccio in una carezza in un bacio quella persona che ti sta nel cuore. E hai paura che quel momento finisca, e quella presenza diventi un’assenza e ti trovi a sentire vere le parole di Guccini: Perché non sono quando non ci sei. E resto solo coi pensieri miei. Come per dire “senza di te mi sento perso, la mia vita è diversa, mi manca qualcosa di importante che possa darmi la forza svegliarmi la mattina, di riuscire a trovare un senso a tutto ciò che faccio”. E se questo accade nella nostra vita quotidiana nella nostra umanità che tocca il nostro cuore, possiamo azzardare a dire una cosa: e cioè che in fondo la fede che viviamo, il nostro rapporto con Dio, che prima di tutto è per noi cristiani l’incontro con Gesù, è la stessa cosa

Dio è questo, è un incontro che cambia la vita, le dà senso e una direzione. Ma come la persona che ami può vivere un giorno solo nei tuoi ricordi, così lo è stato per gli Apostoli con Gesù, e lo è per noi ancora adesso.

È il senso di quello che leggiamo nella Prima lettura: 

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo […] Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava […] (At 1,1-2;9-10).

Luca che scrive fa memoria di quello che gli apostoli hanno vissuto con Gesù, fino a quel momento in cui dopo la risurrezione si sottrae per sempre e fisicamente a loro e alla loro vista. E ora gli apostoli si trovano ad affrontare un nuovo modo di vivere la loro vita la loro fede, senza più quella presenza fisica di Gesù che li aveva sostenuti accompagnati fino a quel momento. E sembra quasi che non vogliano questo accada: Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava.

Non è così anche per noi, sia nella vita che nella fede: quando ti trovi a vivere un distacco, quando la presenza fisica di qualcuno che ami ti viene tolta, ma non solo perché magari la morte ti strappa quella persona, ma anche perché le scelte della vita cambiano i tuoi rapporti, ti portano lontano da ciò che hai vissuto fino a quel momento, e ti fanno restare come sospeso e con la sensazione che inizia mancarti qualcosa. La vita è questo, è fatta anche questa di questi momenti che sembrano farti smarrire ciò che hai di più caro di ciò che ti sta a cuore. Ed è lo stesso nella fede, è la fatica proprio della nostra fede in Gesù. Perché fisicamente noi Gesù non lo vediamo, la sua presenza reale viva – come lo è, perché è risorto – in realtà sembra o lontana quasi non esserci. e così anche Dio, nella vita di ogni giorno, sembra qualcosa di lontano. 

In fondo l’Ascensione è il racconto di un distacco. Di qualcosa che può anche far male (Perché non sono quando non ci sei. E resto solo coi pensieri miei).

E allora? Siamo destinati, nella vita come nella fede a vivere solo di ricordi e del dolore di ciò che sembra che ci manchi?

No, e qui è proprio Gesù stesso che ci fa capire.

Come in un distacco di chi ami, chi proprio porti nel cuore vive ogni giorno nei tuoi ricordi e nel cuore che muove i sentimenti più veri, così Dio oggi rimane una presenza vera, reale, nello scorrere dei nostri giorni. La Fede allora è riconoscere le tracce di Dio, questa presenza che cambia il modo di vedere le cose; la fede è riconoscere i segni di Dio, in Gesù Cristo presente attraverso proprio i segni della sua presenza. Ma come? Una sola parola: la Chiesa. E questo ci fa capire che cosa è la Chiesa, anzi di più “perché la Chiesa”. Perché è il segno efficace, vero della presenza di Gesù Cristo, attraverso i segni che Lui stesso ha voluto. Dopo l’ascensione rimane la Chiesa segno e sacramento della presenza di Cristo.

Possiamo capire il senso della nostra fede, di una fede che dà senso alla nostra vita, dell’essere discepoli di Cristo, solo passando per la Chiesa. Abbiamo bisogno ogni giorno di prendere in mano la nostra fede e aprire il cuore alla fatica di riconoscere i segni della presenza di Dio, proprio nella nostra vita e nella Chiesa… è difficile, sì, ma come quando ami qualcuno sai che mai perderai chi ami e ne vivi ogni giorno la presenza anche in modo diverso, così è Dio…per quanto ne senti a volte la distanza, e vorresti anche solo per un momento vedere il colore dei suoi occhi, il cuore ti dice che Lui c’è, e niente e nessuno ti può strappare da Dio. Come nessuno potrai mai strapparti da chi ami e vuoi bene. È questione di cuore, più che di testa. 

D’altra parte aveva ragione Pascal quando scriveva “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (Pensieri, 477 [8]).