A cura di don Alessandro Coletti (15ª domenica del tempo ordinario - anno B)

Una vocazione a essere profeti

Il profeta è colui che guarda il passato, il presente, il futuro. Di profeti ce ne sono ancora… E ora tocca a noi

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Vorrei fermarmi oggi un momento sulla prima lettura, presa dal libro del profeta Amos.

Amos vive, nella prima metà dell’VIII secolo al tempo del re Geroboamo II. È un tempo di benessere e di prosperità, un tempo in cui economicamente si sta bene ma, come spesso accade, si creano anche forti squilibri sociali: a fianco di persone più che benestanti, a fianco di molti che hanno troppo ci sono altri che non hanno nulla, neppure la possibilità di difendersi dai soprusi e dalle sopraffazioni. Un altro problema: un culto solo esteriore, ricco nella forma ma vuoto. Dio ormai molti se lo sono dimenticati… Tutti si dicono credenti, tutti invocano Jahwè, ma poi di fatto vivono come se Dio non ci fosse. Dio suscita allora un profeta Amos, una persona umile, semplice: un mandriano, un agricoltore. Non aveva titoli particolari se non il fatto di aver accolto la chiamata di Dio. E diventa profeta.

Chi è il profeta? Il profeta è colui che guarda prima di tutto al passato, è colui che ricorda, che fa memoria. Perché, quando si sta bene, si tende a diventare un po’ smemorati… E fa memoria del bene ricevuto, ricorda come il Signore abbia accompagnato il cammino del popolo di Israele. Quante volte il Signore ci ha aiutato, sostenuto, portato in spalla a volte?

Il profeta guarda al presente. Sa leggere in profondità la situazione. Si accorge delle sofferenze, delle cose che non vanno e denuncia. Non tace di fronte al male! «Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni» diceva Martin Luther King. Occhi per vedere in profondità e un forte senso di giustizia.

Il profeta guarda al futuro. È come una sentinella che fissa l’orizzonte e riconosce i segni delle cose che cambiano. Non un indovino ma una persona che riesce ad intuire da che parte si sta andando.

Amos va a Bet-El nel santuario del re e profetizza, denuncia, mette in guardia e come tutti i profeti si pone in contrasto con i potenti, con coloro ai quali va bene che le cose non cambino. Il profeta trova opposizione, rifiuto. Amos verrà cacciato a forza, altri profeti verranno uccisi.

Ma ogni vero profeta cambia le cose. Dà il via a un processo di cambiamento. Il profeta apre una pista  sulla quale altri avranno il coraggio di andare. Il profeta paga di persona il fatto di essere colui che apre una strada nuova, di essere “avanguardia”. Ma è grazie ai profeti se le cose cambiano, se il male può essere sconfitto, se il mondo va verso il meglio. Il mondo ha bisogno di profeti.

La buona notizia è che tocca a noi! Ciascuno di noi, in forza del battesimo è profeta. È la nostra vocazione battesimale: essere profeti!

Fare memoria dell’opera di Dio nella nostra vita, denunciare il male, proporre una via da seguire, una via nuova: questo è il compito di noi cristiani… anche se ci costa.

Alcuni anni fa ho fatto un campo scout a Casal di Principe, in provincia di Caserta… Ero insieme ad altri 30 capi scout provenienti da tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, alla scoperta di un profeta moderno: don Giuseppe Diana, don Peppe, come lo chiamavano, ucciso dalla camorra. Ad inizio degli anni ’90 viene mandato come parroco di una delle parrocchia di Casal di Principe, un paese al centro della Terra dei fuochi, con parrocchiani diciamo “impegnativi”… Era la parrocchia di Francesco Schiavone, uno dei grandi boss della Camorra, poco più in là la famiglia Iovine e Messina Denaro; nomi tristemente noti alle cronache. Lui conosceva bene la realtà… era originario di quei luoghi.

Nell’omelia di Natale del 1991 dice: «Per amore del mio popolo non tacerò» e continua: «Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”. Siamo coscienti che come chiesa dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà».

Ha coraggio don Peppe… E per questo, dopo alcuni avvertimenti, viene ucciso. È il 19 marzo 1994.

Ma le cose cambiano… Ma Casal di Principe ora, grazie a lui e ad altri come lui, le cose vanno un po’ meglio.

I profeti ci sono ancora… E ora tocca a noi. Di fronte al male siamo chiamati a denunciare, a iniziare processi nuovi, per dare il nostro contributo nel costruire qui, fin da ora, il Regno di Dio.