A cura di don Alessandro Coletti (25ª domenica del tempo ordinario - anno B)

Vale la pena servire?

Essere cristiani ci mette in una logica diversa da quella comune

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Prima lettura ci pone di fronte un tema spinoso: la persecuzione del giusto. Spontaneamente ci chiediamo: ma perché il giusto, il mite, il credente sono perseguitati? Perché tante volte chi fa il bene viene ripagato con il male? La prima lettura ci dà la risposta: “Dissero gli empi: «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta»“.

Pensiamo che ci sia un’azienda in cui sia normale rubacchiare e fare i furbi con orari di entrata e uscita e immaginiamo che ci sia in questa azienda un dipendente corretto che non prende niente più e niente meno di quanto gli spetti. Pensiamo a un ente in cui sia normale raggirare i clienti, approfittarsi magari delle loro scarse conoscenze in un certo settore per guadagnarci, per lucrarci un po’; immaginiamo che in questa ditta arrivi un impiegato che si impegna ad essere corretto e onesto… perdendoci, anche, se necessario. Pensiamo a una squadra o a un ambiente sportivo o scolastico in cui tutti bestemmiano; immaginiamo che arrivi una persona che invece ha un linguaggio moderato, gentile; oppure una realtà giovanile in cui è di moda essere atei o agnostici, nella quale ci sia un giovane o anche un insegnante, un allenatore che non si vergogna di dire “Io prego, io vado a Messa”…  Sono come un pungolo. Scuote le coscienze… Con un atteggiamento che può essere anche molto silenzioso, non sbandierato, dice, sussurra, che non è normale il male, che la strada del bene non è impossibile. Quante volte la giustificazione del male è: “Così fan tutti!”. Una vita controcorrente, diventa di ostacolo per chi non vuol cambiare, per chi nel male, nella zona d’ombra ci sta bene. Se mi comporto male come tutti mi sento giustificato, ma se anche uno solo mostra con la sua vita una strada diversa, ecco che scuote, smuove le coscienze. Meglio eliminarlo. Meglio infangarlo. Così non mi disturba più…

Così è successo a Gesù, così è successo agli Apostoli (“Come hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi” aveva detto Gesù). Così sarà anche per noi. Anzi tanto più saremo cristiani tanto più in certi ambienti saremo scomodi. Più saremo cristiani e più saremo rimprovero al mondo senza Cristo, più saremo cristiani e più saremo sale che brucia sulle piaghe dell’egoismo e del peccato. Il rischio invece è di diventare sale senza sapore. Essere cristiani ci mette in una logica diversa da quella comune.

Essere sempre al primo posto o vivere secondo i piani di Dio? Vivere in una continua rincorsa o lasciarsi sorprendere dalla meraviglia per l’opera di Dio? Due mentalità: la mentalità della croce e la mentalità di chi vuol arrivare a un risultato senza fatica. “Chi vuol essere il primo sia il servo di tutti”. È una proposta che non ci piace tanto… Nella logica di Dio chi comanda davvero è chi si mette a servire. E per vivere questa realtà dobbiamo lottare un po’ contro noi stessi. È meglio comandare che servire diremmo spontaneamente… Pensate però di organizzare un grande pranzo con tanti invitati. Chi può permettersi di alzarsi ad andare in cucina a prendere qualcosa e ad offrirlo ai convitati? Solo il padrone di casa. È l’unico che può permettersi di servire. Gesù ha scelto di mettersi al servizio. Ma scegliamo di servire con quella libertà che è propria dei padroni di casa. Serviamo non per paura, non per adulazione, non per secondi fini ma serviamo per amore.

Ci mettiamo a servire perché non temiamo di essere sminuiti, perché Dio sulla croce ci dice e ci ripete in continuazione quello che valiamo. Ci mettiamo a servire perché amare veramente significa mettere il mio io un po’ in disparte. Nessuno ama veramente finché non vince la paura di essere secondo.

Anche la radice del peccato è questa: il peccato nasce dalla paura di essere secondo a Dio. La promessa del diavolo ad Adamo e Eva: “Vi farò simili a Dio”.

Ci sono tre parole simili ma profondamente diverse nel significato… Centrato, scentrato e decentrato.

Il cristiano non è uno centrato su sé stesso. Non mette l’io al centro, come fosse un pianeta e attorno a lui tutti satelliti. Il cristiano non è uno scentrato: una persona sballata, senza centro, senza punti di riferimento. Il cristiano è decentrato: sa che il sole attorno a cui ruotare non è se stesso ma è Dio. Il cristiano è decentrato perché sa che per amore a volte bisogna farsi un po’ da parte. Se vivo da centrato la mia felicità è sempre in pericolo: dipende dai miei successi, dai risultati che ottengo, dal riconoscimento altrui. Se vivo da scentrato: la mia gioia è sempre effimera, dura poco, non si ferma mai su nulla, è una gioia che non riesco ad assaporare. Se sono decentrato invece potrò gustare la gioia profonda del sapersi amati, dal saper fare la nostra parte, dell’accettare anche le croci, anche le piccole e grandi morti consapevoli che ogni morte in Cristo è un’attesa di risurrezione.

E noi cosa siamo: centrati, scentrati o decentrati?