Cammino sinodale – sintesi diocesana

Introduzione
Rilettura dell’esperienza sinodale

La Chiesa di Belluno-Feltre, nata nel 1986 dalla fusione delle due precedenti realtà diocesane, ha vissuto il suo primo sinodo tra il 2002 e il 2006. Tuttavia, in questi ultimi anni, il veloce evolversi del contesto sociale e pastorale e l’assottigliarsi del numero di presbiteri hanno richiesto un costante ripensamento del modello parrocchiale, sempre più orientato verso la collaborazione tra le 158 comunità, generalmente piccole e anche molto piccole, sparse su un vasto territorio montano.

Le comunità si sono lasciate coinvolgere nel cammino di condivisione. Tra la primavera e l’autunno del 2021, i Consigli pastorali parrocchiali – molto spesso costituiti come “unitari”, cioè in collaborazione tra più parrocchie – hanno elaborato un’analisi e un progetto di collaborazione tra le comunità, portato in un’assemblea sinodale, tenutasi nei giorni 18 e 25 settembre. Dai lavori dell’assemblea è scaturita la Carta d’intenti (in allegato), in cui si è riconosciuto: «L’immagine più bella che ci viene rimandata, come frutto di un cammino insieme, è quel chiamarsi e quel riconoscersi “comunità sorelle”: ciascuna con la propria identità e caratteristiche, ma in una comune origine e appartenenza». Si è riconosciuto che «pur tra difficoltà e reticenze», la nostra Chiesa locale ha «iniziato a cogliere l’istanza profetica», che vediamo rappresentata dalle parole di papa Francesco: «Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio».

Così la riflessione avviata in diocesi si è agganciata con naturalezza al percorso avviato dal Papa verso la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Quando il Documento preparatorio ha annunciato che «la Chiesa di Dio è convocata in Sinodo», la nostra Chiesa ha accolto la convocazione continuando il cammino intrapreso.

Dopo la solenne apertura universale del 9-10 ottobre scorso, il 17 ottobre si è tenuta l’apertura diocesana, in un momento di particolare emozione per la nostra piccola Chiesa, che proprio in quei giorni veniva raggiunta dalla notizia che un figlio di questa terra – Albino Luciani, papa Giovanni Paolo I – sarebbe presto salito agli onori degli altari.

A fine novembre il Vescovo indicava i due referenti diocesani, individuando per questo ufficio una giovane donna e un presbitero. Dopo le festività natalizie, sono stati messi in calendario i primi appuntamenti in vista della fase diocesana. La proposta è stata presentata dal Vescovo e dai referenti nelle sei foranie, durante il mese di gennaio, incontrando presbiteri e vicepresidenti dei consigli pastorali parrocchiali e prospettando le modalità con cui dar vita alla consultazione, per “camminare insieme” alla Chiesa universale anche nel nostro territorio variegato e vasto, in cui è stato importante dedicare attenzione specifica a ciascuna zona.

La risposta è stata incoraggiante, non solo per le presenze, ma soprattutto per la qualità delle proposte, delle osservazioni e degli scambi. Nonostante alcune preoccupazioni o resistenze iniziali, ogni realtà si è così attivata per dare vita a un processo di ascolto attivo. Si è scoperto che ascoltarsi è venuto più spontaneo di quanto non si pensasse, segno di aver risposto a un bisogno presente anche nelle nostre vallate.

Il mese di febbraio è stato dedicato alla formazione al metodo della conversazione spirituale, invitando i futuri moderatori dei gruppi sinodali a un incontro di formazione: alle serate hanno partecipato oltre 150 persone, alle quali è stato offerto un quadro dell’iniziativa, sottolineando il semplice metodo raccomandato, perché i gruppi non divenissero luoghi di dibattito, ma di ascolto reciproco, in cui si potesse veramente discernere la voce dello Spirito. Sono stati predisposti e resi disponibili il materiale degli incontri e le schede di consultazione. Non sono mancati perplessità e dubbi, ma anche l’attestazione di una serena disponibilità ad avviare l’esperienza. Ai moderatori non è stato chiesto altro che mettere in gioco la sensibilità e l’attenzione al prossimo, per aiutare ciascun partecipante a prendere parola e raccontare la propria esperienza.

Nel frattempo erano stati attivati i canali di comunicazione tradizionali e i social per sollecitare l’interesse delle comunità locali e del territorio verso la novità in fieri. Tra la fine di febbraio e la fine di marzo sono stati attivati i gruppi sinodali, cominciando dai Consigli pastorali parrocchiali, dai Consigli per gli affari economici, dal Consiglio pastorale diocesano, dal Consiglio presbiterale, per coinvolgere poi gli Uffici diocesani di pastorale, fino ad altri gruppi già attivi nelle parrocchie. Tra marzo e aprile sono pervenute ai referenti diocesani le sintesi dei citati organismi, delle associazioni, dei gruppi giovanili, del mondo della scuola.

Con l’inizio di aprile si è tentato di allargare l’ascolto alle voci di tutti, tramite la costituzione di gruppi sinodali aperti e rivolti a chi si sente “oltre la soglia”, ma ha desiderato far sentire la propria voce alla Chiesa. Tra tutti i gruppi avviati, quest’ultima fase ha avuto risposta minore, ma quanto è pervenuto è parso particolarmente sentito.

Pare significativo considerare i contesti in cui sono maturate le sintesi. Dai Consigli pastorali parrocchiali (spesso unitari) sono state inviate 56 sintesi; dagli uffici pastorali 12; dai gruppi attivi sulla carità e l’assistenza 11, mentre da altri gruppi parrocchiali e gruppi famiglie sono arrivati 58 contributi. Dal presbiterio, diaconi e religiose sono stati raccolti 6 contributi. Dall’ascolto dei gruppi oltre la soglia sono giunte 21 sintesi. Dal mondo della catechesi sono state inviate 17 sintesi, mentre dai gruppi giovanili 22. Nell’ascolto di movimenti e associazioni ecclesiali attivi sul territorio sono state raccolte 8 sintesi; nel mondo della scuola 32.

Intanto il Vescovo ha individuato un’équipe di sette persone, incaricate di redigere la sintesi diocesana, secondo quello stile di ascolto orante che ha caratterizzato tutta la fase diocesana. Dopo una verifica di rispondenza da parte del Consiglio pastorale diocesano e del Consiglio presbiterale, viene di seguito riportato il cuore del testo della sintesi diocesana, precisando che si tratta di un’opera di intarsio, in cui si è cercato di rispettare contenuto, stile ed espressioni di quanti hanno risposto all’appello della Chiesa. Si è seguito un ordine di temi, che l’équipe ha ritenuto adeguato agli spunti e alle segnalazioni maggiormente ricorrenti.


DISCERNIMENTO DEI CONTRIBUTI RACCOLTI

1. La domanda di amicizia

Il cammino sinodale intrapreso sta facendo riscoprire la bellezza di vivere esperienze di Chiesa in comunità: il valore del gruppo, dell’incontrarsi, dello stare insieme, per vivere momenti spirituali, formativi, conviviali o di vita, è imprescindibile per fare comunità.

Questo cammino sta portando con sé il desiderio di sentirsi fratelli e sorelle, abbandonare l’individualismo e curare le relazioni, creando rapporti di amicizia tra laici, tra presbiteri, insieme. Il desiderio di amicizia non si ferma al solo incontro, ma si apre alla vita quotidiana. Risuona il bisogno di vivere una Chiesa che, mettendo al centro le relazioni e la relazione con Gesù Risorto, sappia creare occasioni dove conoscersi, chiedersi nella verità “come stai?”, dove si impari a dirsi “ti voglio bene” e dedicare tempo gli uni agli altri nel cammino della vita.

Anche la preghiera si rivela strumento di questo volersi bene. Risuona la parola del Vangelo di Giovanni: «Amatevi gli uni gli altri».

Le esperienze positive raccolte nelle sintesi sono sempre legate alla capacità di creare relazioni, in cui ci si aiuta, ci si comprende, ci si sente accolti con il sorriso, si percepisce che qualcuno ci è vicino, nella gioia e nel dolore. Le storie personali denotano la presenza di uno Spirito vivo che riesce, attraverso le persone, a presentare vissuti di condivisione, di fraternità, di vicinanza. L’essere credenti aiuta o dovrebbe aiutare a essere più umani.

Si riconosce sempre più l’importanza di formare una comunità che dia segni visibili dell’amore e dell’unità. Si avverte la necessità di una Chiesa gioiosa, che sappia trasmettere positività, che mostri con parole, gesti ed esperienze vissute la gioia del Vangelo, l’entusiasmo di quell’incontro con il Risorto che cambia la vita. La gioia è la sorgente della testimonianza: più riusciamo ad avere relazioni felici più riusciamo a seminare insieme.

2. I soggetti della vita ecclesiale
2.1. I giovani

Molte sintesi hanno evidenziato come i giovani non si sentano ascoltati né compresi, perché ritengono che la Chiesa sia poco incline al dialogo e offra modalità di coinvolgimento invariate da tempo, basate su canoni vecchi. Non sono tanto i giovani che si allontanano dalla Chiesa, forse si sentono allontanati da un sistema che sembra respingerli e non attrarli. Emerge comunque il desiderio di essere incontrati, accolti e valorizzati nella loro umanità. Laddove si propongono attività a loro mirate, si sentono ascoltati e liberi di esprimere con spirito critico le loro idee, poiché percepiscono di non essere giudicati, ma compresi. Una necessità da loro avvertita è quella di una Chiesa gioiosa, coinvolgente e missionaria, che vada incontro agli altri. In particolare, ritengono di sentirsi parte della comunità cristiana se coinvolti attraverso il servizio concreto al prossimo, nel quale ognuno può trovare spazi di parola e di ascolto fraterno: la carità può essere espressa tramite il servizio. Infine, chiedono alla Chiesa di essere “giovane”, ma non nel senso che sia fatta da adulti che si atteggiano a giovani; la Chiesa sarà “giovane” se riuscirà a favorire l’interazione di tutte le generazioni in un’esperienza di comunità.

2.2. La donna

Molte volte i contributi dei gruppi sinodali hanno evidenziato essenziali e sentiti inviti a valorizzare tutti coloro che partecipano della vita della comunità cristiana, in particolare la figura della donna. E se anche le righe qui dedicate non sono molte, una pluralità di voci esprime unanimemente la stessa istanza: è desiderata una Chiesa in cui la donna sia ascoltata, una Chiesa che si apra alla partecipazione attiva delle donne nelle nostre comunità, dove la si valorizzi maggiormente, secondo il progetto di Dio. La presenza attiva di figure femminili, laiche e religiose, deve trovare maggiore spazio e considerazione nella Chiesa, riconoscendo loro anche ruoli spesso riservati al genere maschile. Si ribadisce che la figura della donna all’interno della Chiesa è troppo spesso limitata alle funzioni di mero servizio, mentre si auspica che essa possa ricoprire un vero incarico di annuncio del Vangelo e di guida della comunità.

2.3. La famiglia

Un altro soggetto che più e più volte è considerato nei contributi pervenuti è la famiglia, intesa come «Chiesa domestica», perno della comunità stessa, al punto che l’immagine stessa della Chiesa è quella di una famiglia di famiglie, che accoglie tutti, valorizza e fa crescere le relazioni. La famiglia con le sue dinamiche insegna a rapportarsi con gli altri, riscoprendo una dimensione in cui si cresce insieme, e questo vale per ogni ambito della vita pastorale. Se la Chiesa si costruisce come famiglia, può diventare quel luogo in cui ciascuno è valorizzato e si sente partecipe e responsabile.

Le famiglie non sono importanti solo come modello di vita di comunità, ma anche per l’agire della Chiesa, proprio per le loro dinamiche simili. L’immagine della famiglia come «Chiesa domestica» è un punto di partenza per una ricaduta positiva nelle nostre comunità: così come dovremmo essere in famiglia, possiamo essere nella comunità, creando rapporti autentici, dando importanza ai piccoli gesti, aprendoci alla dimensione più ampia di famiglia che si vive con la comunità, la parrocchia e la Chiesa. È sottolineato che la famiglia va riconosciuta come “prima Chiesa” e dunque come modello della carità che si rivolge agli altri.

La famiglia è la base di partenza per poter continuare a trasmettere la fede. È un fuoco ardente che fonda le basi per una fede solida e duratura; l’esempio familiare e genitoriale rinsalda le radici cristiane e avvia a una vita di fede gioiosa e stimolante. La famiglia resta la prima esperienza ecclesiale, il luogo naturale di accoglienza fraterna nel quale tutti possono sentire di appartenere, il luogo di amicizia, condivisione, conforto, benessere dell’anima, con il grande valore di essere origine di gioia vera.

Eppure la famiglia richiede attenzione: nella sua singolarità essa non basta a se stesso. Per questo è importante che la famiglia non sia lasciata ai margini nella vita pastorale, che cercherà di comprenderla e accettarla nelle sue varie forme attuali perché – si sottolinea – la famiglia svolge un ruolo centrale nel cammino di fede non solo dei ragazzi, ma anche degli adulti, testimoni della fede per i più piccoli.

Anche i gruppi giovanili riportano che la famiglia ha il ruolo di educare alla fede, donando radici e lasciando la “libertà di figli” in una futura scelta autonoma.

2.4. I presbiteri

I presbiteri rimangono punti di riferimento importanti per la comunità, ma dovrebbero fare più comunità fra loro e con il Vescovo. Frequenti sono le richieste emerse verso la figura del prete. Innanzitutto si desidera che i preti possano essere sgravati da impegni amministrativi e burocratici per potersi dedicare maggiormente agli impegni spirituali della comunità, facendo in modo che possano sentirsi sollevati e soprattutto supportati negli ambiti amministrativi. Il tempo guadagnato – anche cedendo un po’ del proprio potere, delegando ad altri alcune mansioni – potrà essere dedicato alla cura delle relazioni con le persone, oltre che agli aspetti più strettamente pastorali e spirituali, cercando di non limitare l’attenzione solo ai gruppi parrocchiali costituiti e a chi già gravita attorno alla Chiesa, ma andando in cerca anche di chi fa fatica a entrare in chiesa. Dunque si auspica che il prete torni a essere prima di tutto guida spirituale e pastorale nella comunità che presiede. Un ultimo aspetto ritenuto importante per il prete è che si prenda cura della propria e altrui formazione continua sugli aspetti che riguardano le relazioni, anche affettive: è necessario per tutti riuscire a entrare in relazione con chi sta vivendo situazioni di fragilità.

2.5. I laici

Al fianco della figura dei presbiteri si vede opportuno un coinvolgimento corresponsabile dei laici, richiedendo di considerare la possibilità di affidare loro i sempre più gravosi compiti organizzativi e gestionali della parrocchia, coinvolgendoli nelle attività pastorali, valorizzandone capacità e propositività. Per questo occorre che i laici nelle attività pastorali siano coinvolti fin dall’inizio, valorizzando le loro capacità propositive, dando maggior fiducia, affidando loro maggiori responsabilità spirituali, pastorali e organizzative all’interno delle comunità cristiane.

Si sottolinea più volte l’importanza di curare attentamente la loro preparazione. Si individuino forme di impegno adatte, valutando la possibilità di considerare che questo impegno non può essere sempre e solo un atto di volontariato.

I laici chiedono di essere ascoltati poiché possono portare un punto di vista diverso, aperto, nuovo anche sulla concretezza della vita di fede quotidiana.

È importante, parallelamente, che i laici stessi si rendano disponibili a svolgere un ruolo attivo nella Chiesa, assumendo responsabilità in particolare nei settori più consoni ai propri talenti. L’autorità ecclesiale dia loro maggior fiducia, affidando maggiori responsabilità spirituali e organizzative, perché ogni talento non sia sprecato, ogni persona possa sentirsi parte di una realtà che cresce e si alimenta con il contributo di ciascuno.

Si vorrebbe vedere una Chiesa più “laicale”, perché lo Spirito suggerisce di esserci con tutto quello che portiamo, con attenzione a chi ci sta accanto e alla realtà.

3. Il problema del linguaggio

In molte sintesi pervenute emerge il tema dell’inadeguatezza del linguaggio che la Chiesa utilizza e della necessità che esso subisca profondi cambiamenti affinché sia più adatto ai tempi odierni. Il linguaggio che usa la Chiesa risulta incomprensibile e poco pratico, lontano dal nostro vissuto quotidiano. Le celebrazioni andrebbero riviste nei tempi e nei modi per renderle adeguate ai tempi cambiati e ai giovani. Le “vecchie” liturgie non vanno più bene, servono nuovi linguaggi, fin da subito, la testimonianza non può più aspettare.

Si avverte il bisogno di ritornare a leggere, ascoltare e studiare la parola di Dio anche al di fuori dei riti e dei momenti “classici”. Si cerca cioè un’esperienza di fede che non sia solo accentrata sulla liturgia. Circa il rapporto con i bambini e i giovani, si annota che la Chiesa continua a portare avanti posizioni fuori dai nostri tempi e forme di coinvolgimento invariate e non attente a come sono loro oggi.

Sarebbe tuttavia riduttivo vedere il linguaggio solo come mezzo, strumento o veicolo per trasmettere e coinvolgere nell’esperienza di fede. Il cambiamento nel linguaggio è specchio e simbolo del cambiamento che si chiede alla Chiesa nell’ascolto, nell’accoglienza e nel coinvolgimento. La chiave di volta di questo nuovo linguaggio dovrebbe essere il raccontare e condividere esperienze, in particolare esperienze di servizio. Vi è l’urgenza di promuovere eventi significativi come condivisione di fede, di gioia e di formazione. Parlare con sincerità commuove e arriva al cuore… Abbiamo bisogno di raccontare la nostra fede anche in modo diverso, che sappia toccare le corde del cuore degli altri. L’esperienza del gruppo sinodale ha avuto nei partecipanti echi diversi. In tutti è emersa la grande difficoltà nell’esprimere liberamente sentimenti legati alla propria fede, considerata da tutti sfera molto intima della propria esistenza. Forse per questo alcuni preferirebbero incontri comunitari di adorazione e preghiera. Per altri invece la semplicità e la spontaneità dell’incontro hanno permesso di esternare il proprio credo, donando maggior sicurezza a sé stessi e arricchendo vicendevolmente i partecipanti, sperando anche nell’arrivo di qualche nuova persona.

Due sembrano essere le realtà che necessitano con maggior urgenza di rivedere il loro linguaggio: la celebrazione eucaristica e la catechesi.

Circa la prima, viene percepita come momento eccessivamente strutturato e complesso, a tratti esclusivo e anacronistico. Il desiderio di fare comunità porta quindi alla ricerca di esperienze “altre”, al di fuori della parrocchia e della Messa domenicale. Spesso ci si sente comunità cristiana in contesti più destrutturati e informali. Nel “fare insieme” quotidiano, nelle esperienze di volontariato, nel servizio concreto al prossimo, ognuno può trovare spazi di parola e ascolto fraterno, e diventare a sua volta testimone credibile e costruttore di una nuova comunità cristiana. Il rinnovamento nel linguaggio passa anche attraverso i luoghi in cui si celebra l’Eucaristia: è importante prevedere anche luoghi all’aperto, perché ci accorgiamo che tutto questo può aiutarci a essere più disponibili verso il creato e verso gli altri.

Per quanto riguarda la catechesi, si ribadisce più volte che essa così come formulata oggi è inefficace e non adeguata e sembra quasi allontanare i bambini e i ragazzi dalla Chiesa. Serve una catechesi aggiornata e adeguata che ci accompagni in ogni età della vita con proposte e linguaggi diversificati e con esperienze fattive e coinvolgenti. Inoltre si rileva la poca conoscenza della proposta cristiana per inadeguatezza e insufficienza di annuncio e di catechesi. Le istituzioni della Chiesa offrono opportunità di formazione importante ma non sono accessibili a tutti per l’impegno che comportano, per motivi economici, per cultura. Serve una catechesi aperta, sensibile all’oggi e per tutti.

Due sottolineature finali. Il nuovo linguaggio della Chiesa dovrebbe dare maggior spazio all’arte e al canto come occasioni di annuncio e di catechesi: è auspicabile servirsi con maggiore vigore dell’arte per l’annuncio del messaggio cristiano quale strumento per una migliore comprensione e conoscenza del mistero di Dio. I nostri gruppi di canto e cori sono un messaggero d’arte. È un’arte anche testimoniare la fede cantando.

4. Relazione, accoglienza e coinvolgimento

In molte sintesi emerge il desiderio e la necessità di essere Chiesa, di sentirsi Chiesa ricercando e testimoniando uno stile di vita condiviso.

Ricorre l’immagine di una Chiesa che cammina insieme, in cui si passa dall’“io” al “noi” e ci si sente il popolo che Dio ha unito. Camminare insieme significa cercarsi, comunicare e condividere; tutti sono invitati a prendere parte al cammino, “tutti” sono le persone giuste per camminare insieme. Siamo chiamati a fare nostra un’ottica di essenzialità e a rispondere al bisogno di tornare a fare esperienza insieme curando le relazioni fraterne, per essere una comunità di fratelli e sorelle. La Chiesa nasce dal noi ed essa non può che essere comunità. Per crescere e sussistere la Chiesa ha bisogno di costituirsi insieme al fine di condividere, collaborare e confrontarsi. Essa non può che perseguire il bene e poter portare il Vangelo con parole, gesti ed esperienze vissute. Per procedere in tale direzione si possono creare, ad esempio, occasioni di scambio intergenerazionale, favorire momenti per pregare insieme, si possono rendere la Messa festiva una vera festa, un’occasione di esperienza di comunità nella fede e nella convivialità. Nel promuovere l’accoglienza, le realtà di gruppo – associative e non – sono una risorsa di formazione per la parrocchia, soprattutto nel caso in cui in essa non sia presente in forma stabile un parroco. Occorre tuttavia aggirare gli ostacoli rappresentati, spesso, da una chiusura dovuta a selettività e autoreferenzialità delle realtà di gruppo stesse.

La Chiesa è invitata a essere più presente, specialmente promuovendo incontri quotidiani anche al di là delle celebrazioni religiose: comunione significa anche incontro ed è espressione di un desiderio di amicizia che si apra alla vita quotidiana. Perché lo stile cristiano possa comunicare appieno la gioia dell’ascoltarsi e dell’incontro, è necessario che ci prendiamo cura l’uno dell’altro nella relazione, in particolare considerando l’ascolto e l’accoglienza quali dimensioni costitutive della Chiesa. Le persone vanno accolte e incontrate là dove si trovano, senza aspettarsi nulla di più di quello che esse sono e possono offrire. Accogliente è lo stile di una Chiesa vissuta come rifugio e conforto, come luogo di incontro, come casa, in cui la comunità stessa diventa casa che accoglie tutti, anche coloro che non si riconoscono nella cultura cristiana.

Diventa perciò fondamentale trovare occasioni di aggregazione in cui chiunque possa sentirsi coinvolto, in cui ognuno possa mettere a frutto le proprie capacità e competenze per uno scopo comune. Ci viene chiesto il lancio di proposte nuove capaci di coinvolgere quante più persone possibili nel cammino di fede delle parrocchie.

La Chiesa ha bisogno di persone che si approccino agli altri con amore, senza giudizi o preconcetti. Viene sottolineata una difficoltà della Chiesa nel diffondere e trasmettere il messaggio cristiano di amore e accoglienza, sia all’interno delle comunità cristiane stesse, sia verso i non credenti; la Chiesa e le comunità che la compongono rischiano, nello specifico, di mostrarsi giudicanti ed escludenti nei confronti di persone straniere, conviventi, separate. A volte l’esperienza di Chiesa è segnata da una contraddizione: accade che ci si senta accolti a livello personale, ma di percepire la fatica della Chiesa nell’essere coerentemente un luogo di accoglienza nei confronti di ogni prossimo. Tutto questo indica una scollatura con la realtà contemporanea, poi rigidità, tendenza a ripetere i medesimi schemi, incapacità di creare relazioni vive e di adoperare al meglio i talenti di chi la compone.

Dalle storie personali si può partire per costruire una Chiesa capace di accogliere sorridendo, attraente perché grande e bella nella sua umanità.

5. L’ascolto, come pratica sinodale

Il “camminare insieme” che abbiamo intrapreso come Chiesa, il metodo stesso della conversazione spirituale, prendono le mosse dall’ascolto dello Spirito e dall’ascolto reciproco, attento e rispettoso. La pratica sinodale poggia infatti innanzitutto sull’ascolto.

Più volte è stata evidenziata nelle sintesi la validità del metodo utilizzato per il gruppo sinodale, sottolineata la gioia dell’ascoltarsi e dell’incontro, la soddisfazione dei partecipanti nell’aver sperimentato ascolto reciproco. Sarà pertanto importante riproporre questo metodo nelle nostre comunità, anche dopo la conclusione del sinodo stesso, lasciandoci sorprendere dalla creatività dello Spirito Santo.

Molti contributi contengono il verbo ascoltare per esprimere l’esigenza di una Chiesa “in uscita” che sempre meglio affina l’ascolto, avvicinando e coinvolgendo il singolo e le comunità. Una Chiesa che sa “ascoltare” il grido a volte silenzioso delle persone che ci vivono accanto e sa “guardarle” con gli occhi di Gesù. Solo dall’ascolto nascono i progetti e un ascolto privo di pregiudizi. Le famiglie stesse hanno bisogno di trovare persone che ascoltano e non hanno paura di “perdere tempo”.

I frutti dell’ascolto sono quindi riscontrabili e sarà importante una Chiesa che sappia sostare sulle domande senza nascondersi dietro risposte preconfezionate, in particolare verso le persone credenti che non “possono” ricevere i sacramenti.

Prende rilievo ora una domanda: a chi deve essere data la priorità di ascolto? Ascoltare e accogliere i lontani, appartenenti a religioni diverse, o membri di famiglie irregolari, e ancora ragazzi e bambini; ma anche ascoltare i vicini, cioè coloro che frequentano.

Per coinvolgere in modo significativo, è comunque necessario innanzitutto un “ascolto attivo”, vero, profondo e libero, che parta dal cuore e arrivi al cuore, che dia fiducia. Ascolto dello spirito vero, che è in ogni persona.

È chiaro che ogni gruppo sinodale darà risultati diversi in base al vissuto dei presenti: ascoltare il diverso è la strada per l’evoluzione. Pertanto, si auspica una Chiesa meno giudicante e più distaccata dal potere, più accogliente: la dottrina non deve fare a pezzi la vita delle donne e degli uomini così da impedire loro di partecipare all’annuncio.

Decisivo dunque è ascoltare coloro che non frequentano o stanno sulla soglia.

Appare spesso il tema del superare i confini e di andare verso l’altro, cercando anche chi fa fatica a entrare in chiesa, senza fare differenze. Si sente l’urgenza di una Chiesa che non escluda alcuno e non tema il confronto con i non credenti, così da poter avvicinarsi anche a quella parte di comunità che non si identifica necessariamente con la Chiesa istituzionale. Colpisce il fatto che vengano definiti “grandi esclusi” i giovani e gli anziani; si ha anche la sensazione che molti si autoescludano dalla comunità cristiana.

Nelle nostre “terre alte” demograficamente impoverite, sempre più persone sole hanno bisogno di trovare disponibilità all’ascolto per condividere i propri sentimenti. Coloro che non frequentano siano coinvolti evitando pregiudizi e atteggiamenti intransigenti, condividendo le proposte e cercando di favorire il “prendersi cura del vicino”, in modo semplice, delicato e concreto.

C’è una consapevolezza che fa capolino in diverse riflessioni: abbiamo bisogno di riconoscere il bene anche quando questo non viene dalle persone più facilmente assimilabili a noi; riconoscere il bene che viene anche da coloro che non frequentano la Messa. A volte le risposte arrivano proprio da persone inaspettate, che hanno percorsi di vita diversi dai nostri. Sta a noi ascoltare questi segnali e ascoltare le domande di chi non crede per cercare insieme risposte di senso per un futuro di speranza.

Consci che abbiamo bisogno di tornare a fare esperienza insieme, curando le relazioni fraterne, c’è un risvolto da valutare: paradossalmente può succedere che si preferisca sostare fuori dalla soglia della Chiesa, perché a volte si scopre, proprio lì fuori, una comunità che si aiuta, che non giudica, che ti accoglie, che fa progetti con le famiglie, con i ragazzi. La Chiesa attraverso l’ascolto di tutti, in particolare dei piccoli, si rinnovi superando le categorie mentali vecchie e per guardare avanti senza paura dei propri limiti.

Nella consapevolezza dei cambiamenti della società e del clima culturale è necessario considerare in questa prospettiva il dramma dell’individualismo e della solitudine, segnalati come ostacolo da riconoscere e da abbattere.


Conclusione
I PROSSIMI PASSI

L’impegno di questi mesi non è stato una passeggiata, anche se non sono mancate le soddisfazioni. L’équipe sinodale si è messa in ascolto delle voci di tanti fratelli e sorelle, che hanno offerto un contributo nei gruppi sinodali avviati in diocesi. Dal discernimento orante operato sono emerse alcune linee di prospettiva, radicate nelle riflessioni precedentemente illustrate e che possono diventare orientamento per il futuro prossimo.

Si è evidenziata anzitutto una sete di amicizia: il cammino sinodale ha permesso di riscoprire la bellezza di vivere esperienze di Chiesa in comunità. È imprescindibile il valore del gruppo, dell’incontrarsi e dello stare insieme, sia per vivere momenti spirituali e formativi, come per assaporare momenti di convivialità, di condivisione profonda e di vita ordinaria.

Un’ulteriore indicazione di prospettiva sembra essere quella dell’accoglienza. Uno stile accogliente è richiesto alla Chiesa, immaginata come rifugio, come luogo di incontro, come una casa, in cui la comunità stessa diventa casa che accoglie tutti, anche coloro che non si riconoscono appieno in essa. Le storie personali hanno delineato l’opera dello Spirito di Dio che riesce, attraverso le persone, a suscitare vissuti di condivisione, di fraternità, di vicinanza. Da queste si può e si deve partire per costruire una Chiesa capace di accogliere sorridendo, attraente perché grande e bella nella sua umanità.

In questo stile immaginiamo il coinvolgimento trasversale – sia come soggetti attivi, sia come oggetto di attenzione – di varie persone che richiedono la cura della comunità cristiana. Molto significativo è parso il grido dei giovani, che non si sentono ascoltati né compresi dalla Chiesa, la quale appare loro poco incline al dialogo e poco disponibile a coinvolgerli e incontrarli, tanto che si sentono quasi allontanati da un sistema che non solo non li attrae, ma sembra respingerli. È sembrato importante pure l’appello a una sincera valorizzazione delle donne – sia laiche sia religiose – la cui presenza della Chiesa non deve essere funzionale a un servizio, ma deve essere un vero protagonismo nell’evangelizzazione e nella conduzione della comunità. Forte e deciso è stato l’appello all’autorità nella Chiesa perché sia data fiducia ai laici, che possono assumere vere responsabilità ecclesiali, soprattutto negli ambiti più consoni ai loro talenti. Di converso, è emerso il desiderio che i preti possano essere liberati da molti impegni gestionali, delegando ad altri alcune mansioni, di modo che possano dedicarsi maggiormente alla cura spirituale della loro comunità, alla cura delle relazioni, agli aspetti più strettamente pastorali, secondo la logica di un pastore che cura il suo gregge e va in cerca di chi fa fatica.

Un particolare aspetto dell’accoglienza è la disponibilità ad ascoltare, tanto più in queste nostre “terre alte” attanagliate da un preoccupante calo demografico, dove tante persone sole chiedono di trovare alle porte della Chiesa una disponibilità all’ascolto. Eredità preziosa di questo cammino sinodale sembra essere proprio il metodo della conversazione spirituale. Il metodo adottato per i gruppi sinodali ha regalato una sorprendente gioia dell’ascoltarsi e dell’incontro, ha suscitato la soddisfazione per i partecipanti di aver sperimentato un ascolto reciproco. È stato scritto: «Si è percepito proprio lo Spirito. Siamo stati tutti molto contenti di esserci trovati, parlando liberamente ognuno secondo la propria esperienza». È davvero accaduto quanto era stato annunciato nel Vademecum: «Dio arriva a noi attraverso gli altri e arriva agli altri attraverso di noi, spesso in modi sorprendenti». Pare quindi importante far permanere questo metodo, anche dopo la conclusione del Sinodo, per lasciarci sorprendere dalla creatività dello Spirito Santo.

Un’urgenza particolarmente avvertita è quella del linguaggio, che non è solo forma o strategia, ma corollario della conversione chiesta alla Chiesa verso uno stile di ascolto, accoglienza e coinvolgimento. In modo particolare, si avverte l’urgenza di un rinnovamento della catechesi, poiché il suo stato attuale sembra essere inadeguato e inefficace, quasi controproducente, laddove sembra quasi allontanare bambini e ragazzi dalla Chiesa. Si sente l’urgenza di una catechesi aggiornata, che accompagni ogni età della vita con proposte e linguaggi diversificati e con esperienze fattive e coinvolgenti.

Soprattutto è desiderata e sognata una Chiesa gioiosa, che sappia trasmettere positività, che mostri con parole, gesti ed esperienze vissute la gioia del Vangelo, l’entusiasmo dell’incontro con il Signore Gesù, incontro che cambia la vita.

La conclusione di questa fase diocesana non può che avere un’intonazione “eucaristica”, esprimendo cioè una parola di gratitudine. Siamo davvero grati al Signore che «ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso» (cfr. Gs 24,17). Siamo grati a papa Francesco, vescovo della Chiesa che presiede alla carità, per averci sollecitati a riscoprire questa dimensione sinodale della comunità. Ma siamo grati anche ai fratelli e alle sorelle, che abitano con noi questo splendido territorio tra le Dolomiti: ringraziamo tutti e ciascuno per aver dato vita e voce a questa proposta, per aver reso profondo l’ascolto, per aver messo a disposizione il proprio tempo e il racconto prezioso delle proprie esperienze personali. Grazie per aver avuto uno sguardo pronto a cogliere ciò che il vento dello Spirito ha sospinto, anche qui, nella nostra Chiesa di Belluno-Feltre.


ALLEGATI
18-06-2022