Il Magnificat della nostra diocesi

Ringraziamento in Cattedrale dopo la pubblicazione del Decreto sul miracolo

 

«Luciani Albino, figlio di Giovanni e di Bortola… nato il giorno 17 del corrente ottobre alle ore 12 meridiane, fu battezzato in casa dalla levatrice per imminente pericolo di vita». 109 anni fa.

Il nostro convenire di oggi in questa cattedrale, come rappresentanza della Chiesa locale, ci dà modo per dar voce nella preghiera alla gioia diffusa e incontenibile, che abbiamo provato mercoledì scorso dopo l’annuncio del riconoscimento di un miracolo attribuito all’intercessione del nostro “don Albino”. Riconosciamo che egli ha percorso «con l’audacia della fede la via santa che dal fonte battesimale porta alla Gerusalemme celeste». Un arduo sentiero esplorato a modo suo, sotto il segno dell’humilitas, dal battesimo in articulo mortis fino alla solitaria morte nel silenzio del Palazzo apostolico, dopo 34 giorni di pontificato.

L’11 novembre 2017 avevamo qui gioito per il decreto sull’eroicità delle virtù che, concludendo il primo ramo dell’inchiesta, attestava: Giovanni Paolo I è stato un cristiano che «ha seguito più da vicino l’esempio di Cristo con l’esercizio eroico della virtù […] e, pertanto può essere proposto alla devozione e all’imitazione dei fratelli».

Poi la Chiesa ci ha chiesto la certificazione di un miracolo, come segno dell’intercessione presso Dio che i santi e i beati operano per noi. L’atto che la Santa Sede ha reso pubblico mercoledì scorso apre la strada alla beatificazione, che sarà fissata dal Papa nei tempi e nel luogo che lui vorrà. Non anticipiamo i tempi: solo dopo quella proclamazione potremo onorare il nostro conterraneo come beato, dedicargli un giorno liturgico, esporre nelle chiese un’immagine votiva.

Oggi comunque vediamo giungere a buon fine l’intuizione di mons. Savio che – all’alba di questo secolo e in vista del sinodo diocesano – volle dare un incoraggiamento a questa nostra comunità, che riteneva poco attenta ai propri tesori: come avviò la riscoperta dei tesori d’arte delle nostre chiese, così volle farci vedere che anche tra di noi il Signore ha tracciato sentieri di santità.

La fase diocesana della Causa di canonizzazione ha richiesto tre anni di lavoro (2003-2006). Dopo la chiusura del processo diocesano, venne richiesto un supplemento di ricerca (2008-2010). Poi venne la complessa redazione del dossier, chiamato Positio: sei anni di lavoro; poi l’esame della Congregazione nei suoi vari gradi di giudizio. La causa di Papa Luciani non è stata né più lunga di altre, né più breve e agevolata di altre. È stata una ricerca senza sconti: seria, coscienziosa, scrupolosa.

Tuttavia una causa di canonizzazione non è uno studio accademico: essa vuole soprattutto mettere in evidenza il segno lasciato nel suo tempo da un uomo di Dio, perché sia un segno valido anche negli anni venturi. Ne è finalmente venuto un ritratto che va oltre i cliché del “Papa del sorriso”, del “Parroco del mondo” e oltre la letteratura noire che sulla repentina morte ha teso i suoi ricami, dimenticando i precedenti 66 anni di una vita spesa al servizio di Cristo.

È lo schivo prete di montagna, che ha fissato nell’umiltà la virtù specifica del discepolo di Colui che si è detto «mite e umile di cuore»; è il dottore in teologia, che però evita la magniloquenza verbale perché – come gli aveva insegnato il suo parroco – anche la vecchietta dalle mani tremolanti possa comprendere un suo scritto; è il vescovo, che sceglie di riparare con giustizia il danno economico recato da due preti della sua diocesi; è il pastore, attento alle vertenze sindacali degli anni Sessanta, che per primo in Italia vuole un contratto sindacale per i sacrestani, perché ricorda i principi sociali del padre socialista; è il teologo, che rinuncia ad alcune aperture d’avanguardia per essere leale al dettato di papa Paolo VI dopo la pubblicazione di Humanae vitae; è il porporato, che per salvaguardare la comunione ecclesiale con la Conferenza episcopale italiana sa anche essere severo e impopolare.

Di questa Cattedrale don Albino fu mansionario dal 1943 al 1956; per soli due anni fu canonico (1956-1958). Qui il 23 novembre 2003 venne aperto il processo di canonizzazione; diciotto anni dopo ancora una volta siamo qui a dire grazie: questa nostra diocesi – per quanto piccola e talora scoraggiata – oggi «magnifica il Signore», perché «ha guardato all’umiltà» di un figlio di questa terra. Egli ebbe a dire un giorno: «Penso che il Signore continua anche adesso col suo vecchio sistema: prende i piccoli che sono nel fango e nella storia e li solleva alle altezze: chiama dai boschi, dai campi, dalle reti la povera gente e ne fa dei grandi. Certe sue cose le scrive non nel bronzo o nel marmo, ma addirittura nella polvere, affinché se la scrittura resta – non scompaginata o dispersa dal vento – sia ben chiaro che è tutto merito suo».

Certo non gli uomini, ma Dio solo – da sempre – esalta gli umili: «respexit humilitatemex hoc enim beatam me dicent omnes generationes». Fra qualche mese, anche di “don Albino” noi diremo “beato”.

Davide Fiocco

Cattedrale di Belluno
17-10-2021