“Avere Dio” così è speranza per noi

Omelia nel 43° anniversario della morte di papa Giovanni Paolo I
28-09-2021

Zc 8,20-23; Sal 86 (87); Lc 9,51-56

Della “Città di Dio” – Gerusalemme – «si dicono cose gloriose». Così abbiamo pregato nel salmo responsoriale. La “Città di Dio” è di tutti: «L’uno e l’altro in essa sono nati e lui, l’Altissimo, la mantiene salda». Domenica scorsa ricorreva la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Il tema della giornata – Verso un noi sempre più grande – si combina con la Parola che abbiamo ascoltato dal profeta Zaccaria, con la preghiera del salmo 86, con il racconto dell’evangelista Luca. L’Altissimo – il salmista si rivolge così a Dio – non può che manifestarsi in un “noi” di umanità «sempre più grande».

Nei suoi 33 giorni, avendo cura e provando l’assillo per le Chiese di tutto il mondo, Giovanni Paolo I ha sperimentato le dimensioni universali di «un noi sempre più grande».

Era iniziato da qui, da Canale d’Agordo, da questa comunità e dalla famiglia dei Luciani questo aprire ed estendere la sua piccola e singolare storia «Verso un noi sempre più grande».

Don Albino ha assunto nella propria carne fragile e dal sapore montano una moltitudine immensa di umanità. Giorno dopo giorno lo diventava. In questo breve tempo di dimensioni universali aveva sentito il bisogno di raccontare la fede, la carità, la speranza nelle forme a lui congeniali di una comunicazione “a tu per tu”, familiare, spezzettata a briciole. Le parole che uscivano dal cuore di papa Giovanni Paolo squarciavano ogni barriera, ogni limite e offrivano uno sguardo divino senza misura, immenso, rivolto alle grandi cose della vita.

L’immediata e grande empatia che usciva da quell’umile cuore, suscitando una sorprendente simpatia mondiale, sembra preannunciata dalle parole del profeta Zaccaria che abbiamo ascoltato. Sono parole con cui il profeta, dopo l’esperienza dilaniante dell’esilio, incoraggia la ricostruzione di Gerusalemme: «Così popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a cercare il Signore e a supplicarlo». A nome di Dio Zaccaria aggiunge: «In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: “Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi”». Nell’affabilità di papa Luciani riconosciamo l’eco di queste parole che risvegliano il desiderio di un gioioso ritorno. Come recita il salmo 86: «E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti”».

Colpisce il motivo per cui, nelle parole di Zaccaria, questi rappresentanti delle nazioni chiedono di poter condividere insieme il ritorno a Gerusalemme, di mettersi sulla stessa strada di quel Giudeo a cui accenna il profeta: «Abbiamo udito che Dio è con voi».

“Avere Dio”, “essere con Lui” risulta essere una cosa buona da desiderare, una bellezza da cui lasciarsi estasiare, un cammino da condividere insieme, un orizzonte sanante e liberante.

Don Albino lo ha raccontato così Dio. Ha tratteggiato in pennellate intense e comprensibili l’essere desiderabile di Dio, la sua incondizionata bontà, la sua presa diretta sulla semplicità, povertà, vulnerabilità, umiltà, autenticità del cuore di questa nostra umanità. Nelle sue famose lettere agli “Illustrissimi” riscontriamo molte di queste pennellate. Rivolgendosi a Charles Péguy, Luciani scrive: «Non è mai troppo tardi: Dio non solo si chiama Padre, ma padre del figliol prodigo, che ci scorge quando siamo ancora lontani, che si intenerisce e, correndo, viene a gettarsi al nostro collo e a baciarci teneramente. E non deve spaventare un eventuale passato burrascoso. Le burrasche, che furono male nel passato, diventano bene nel presente se spingono a rimediare, a cambiare; diventano gioiello, se donate a Dio per procurargli la consolazione di perdonarle». Da discepoli del Signore, da cristiani, noi possiamo dimenticare questa immagine del Dio di Gesù così come è successo a due tra i discepoli più vicini a Gesù – Giacomo e Giovanni – che si lasciano irrigidire e chiudere da un contrattempo, da uno sgarbo, da una rigidità.

Il 20 settembre parlando sulla speranza all’Udienza del mercoledì, papa Luciani racconta: «Ho risposto una volta, tanti anni fa, a una signora sconosciuta, che si confessava da me. […]. Lasci perdere il passato, pentita com’è, si proietti all’avvenire, cambi con l’aiuto di Dio la sua vita. Vedrà, sarà tutto cambiato. E, in quella occasione, le ho citato un mio autore preferito, S. Francesco di Sales, il quale parla delle “nostre care imperfezioni”. Imperfezioni, ma care. E spiegai: Dio detesta le mancanze, in quanto sono mancanze. Però, sotto un altro aspetto, Dio ama le mancanze perché sono occasione a Lui di mostrare la sua misericordia e a noi di tenerci bassi, di esser umili, di capire e compatire le mancanze degli altri».

“Avere Dio” così – come ha testimoniato Giovanni Paolo I – è vita, è salvezza, è speranza per noi!