Due padroni che possono contendersi la nostra vita

Omelia nel 12° anniversario morte del Servo di Dio d. Luigi Giussani – Mas
26-02-2017

Is 49,14-15; Sal 61 (62); 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34

«Chiediamo a Dio la grazia di seguire senza riserve l’invito di Papa Francesco a mendicare e imparare la vera povertà che “descrive ciò che abbiamo nel cuore veramente: il bisogno di Lui”, per vivere la vita sempre come un inizio coraggioso rivolto al domani». [intenzione indicata da don Julián Carrón]

Dove ci sta conducendo questa Parola di Gesù consegnata a noi dall’evangelista Matteo? Perché ci scombina così tanto: noi così esperti e affermati nel preoccuparci per il domani, per il futuro dei nostri figli; noi affannati da affari, da pratiche da portare a termine, da ricchezza da assicurarsi?

Alcune domeniche fa l’evangelista ci ha scossi con otto beatitudini: Beati voi!

Ci ha, poi, sollecitati a non perdere il sapore che deve caratterizzare il sale che è in noi, a non nascondere la luce che ci è data per illuminare i nostri luoghi di vita, il nostro incontrarci…

E poi ci ha sfidato a “superare la giustizia caratteristica degli scribi e dei farisei” per indurci a smuovere e vincere ogni meschinità di amore…

Domenica scorsa ci ha portato a conoscere la logica della croce: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano…

Il Vangelo di oggi è limpido, attraversa tutto il nostro vivere, si cala nelle nostre strategie di vita, nel nostro operare e nei nostri rapporti.

Permettete qualche risonanza che ognuno di voi può riprendere riandando alla sincera e coraggiosa testimonianza del Servo di Dio d. Luigi Giussani.

Gesù parla di due padroni che possono contendersi la nostra vita: li chiama “Dio” e “la ricchezza”.

Il percorso appena richiamato, guidato dall’evangelista Matteo in queste domeniche, ci porta oltre l’immagine dei due padroni. Ci si può dilaniare nel volerli servire entrambi. Gesù ci avverte di non entrare in questa morsa. Ma poi egli non scioglie la questione. Possiamo intuire però dalle parole che seguono la testimonianza di Gesù: il Dio che egli ci fa conoscere e ci fa incontrare nel suo stesso volto non è un “padrone”! Non siamo sottomessi come schiavi a un padrone!

A riguardo degli uccelli del cielo che non seminano e non mietono Gesù afferma: Eppure il Padre vostro li nutre. Non valete forse più di loro?

A riguardo poi del nostro preoccuparci per il mangiare, per il bere, per il vestire, egli dichiara: Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno.

Gesù ci conduce a questa fonte, a questa radice: Dio suo Padre.

Mi piace rileggere con voi quanto scrisse don Luigi Giussani:

«Quando [Gesù] guardava il passero cadere, quando osservava i gigli del campo, le messi, i capelli dell’uomo, che cosa gli dava la certezza di trarre da tutto spunto per raggiungere il significato del mondo, il senso della sua vita? Ciò che faceva fiorire tale certezza era il suo rapporto col Padre, la compagnia del Padre. Per noi imitare Gesù è, dunque, vivere innanzitutto la religiosità di ogni gesto. Questa prima flessione, questo primo articolo della morale per noi è chiaro: vivere la religiosità in ogni gesto. San Paolo lo dice più volte: “Sia che vegliamo sia che dormiamo, sia che viviamo, sia che moriamo, viviamo insieme con Lui”».

[L’uomo e il suo destino: In cammino (1999)]

 

Che cosa ne deriva? Che anche il nostro sguardo sulla vita cambia; così anche muta il nostro rapporto con le cose del mondo, con tutto ciò che è nostra opera.

Don Luigi la chiama: “la religiosità di ogni gesto”.

Commenterei così: Gesù guarda ai gigli del campo, all’erba, alle creature e riconosce che tutto questo è dono e che vive della gratuità che l’ha originato. Gesù ha in seria considerazione ciò che noi facciamo e ciò di cui abbiamo bisogno.

Nel suo riportarci al Padre ci svela “la religiosità di ogni gesto”: tutto attorno a noi e dentro di noi e tutto ciò che operiamo con Gesù può diventare “parabola di Vangelo”; tutto può veicolare e manifestare una buona notizia: la bontà e bellezza di questo universo.

Aiutiamoci a far diventare ogni gesto della nostra vita un “fatto di Vangelo”!

Ciò ci libera dalla schiavitù delle cose, dalla tirannia della ricchezza, dall’affanno e dal tedio della vita!

 

Una breccia sull’orizzonte verso cui ancora avventurarci e procedere nel cammino della fede ci viene consegnato dal profeta Isaia, interprete del “cuore” di Dio.

Questa commovente confidenza fatta dal profeta la ritroviamo nel vissuto di Gesù:

«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se ciò fosse… io invece non ti dimenticherò mai».

Accanto al Padre che sa di che cosa abbiamo bisogno, la Parola ascoltata ci mostra Dio come una madre che non può dimenticare il frutto del proprio grembo.

Ecco i cieli nuovi e la terra nuova entro cui ripensarci, ritrovarci, lasciarci andare in un atto di fiducia e sereno abbandono e in cui rigenerare tutto il nostro operare.

Ancora cediamo la parola a don Luigi che scrisse a riguardo di questa profezia:

«Ma “anche se ci fosse una donna che si dimenticasse del suo bambino, io non ti dimenticherò mai”. Questa frase dovrebbe essere scritta lungo tutte e quattro le pareti della nostra stanza, qui davanti a noi, dovrebbe essere scritta su un tirante tra una casa e un’altra, nelle piazze, sulle montagne, dappertutto: “Io non ti dimenticherò mai”».

[Che cos’è l’uomo perché te ne curi? (2015)]