E lo siamo realmente!

Solennità di tutti i Santi - Belluno e Feltre
01-11-2020

Ap 7,2-4.9-14; Sl 23(24) ; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a

«Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio» (Ap 7,3).

Sono parole che risuonano dentro di noi in questi giorni in cui, dopo l’illusione estiva di una normalità di vita da riprendere, nuove paure e incognite si prospettano nell’immediato futuro.

La preghiera del salmista (Sal 23/24) diventa una grande profezia per noi: «Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo con i suoi abitanti. È lui che l’ha fondato sui mari e sui fiumi l’ha stabilito».

Ecco qui: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno di Dio» che Gesù dichiara e fa conoscere.

Nelle parole di Gesù intravediamo un orizzonte nuovo, inaspettato. Egli sembra spiazzarci. Coglie le profondità del nostro animo, del nostro cuore, dei nostri affetti. Sembra chiederci: a che cosa vi state aggrappando? La vita – sogno e realizzazione stupenda di Dio, sua meraviglia – che cosa sta diventando nelle vostre mani? Come la state condividendo?

Gesù ci dice che occorre quella libertà del cuore che ci fa sentire “poveri”: Siamo all’opposto di ogni possesso e accaparramento della vita e delle sue manifestazioni.

Per Gesù c’è un universo di vita e di amore che ancora dobbiamo apprendere e accogliere. È un universo nuovo da abitare.

Giovanni, l’apostolo, ci invita così: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro». Nel contesto della sua prima lettera, Giovanni sta parlando del Padre che ha un “grande amore” verso di noi, fino a chiamarci “figli di Dio” e aggiunge: «E lo siamo realmente!».

C’è in noi qualcosa da purificare, ma occorre farlo nella speranza. Quello della speranza è un nuovo esercizio d’amore a cui siamo invitati. È un appello di salvezza, di salute, di beatitudine: «Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato».

Ma come poter sperare in situazioni tanto complicate come quelle che viviamo e che sembrano a nostro sfavore?

Mi pare che, in particolare, un’altra beatitudine proclama da Gesù può illuminarci e sostenere il momento difficile che viviamo: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».

Potremmo dire così: «Essere puri di cuore è avere su tutto e su tutti lo sguardo di Dio, partecipando […] del suo pensare e sentire in grande» (Enzo Bianchi).

Assumere, dunque, lo sguardo di Dio ci permette di rivedere tutto di noi, degli altri, della vita, del passato, del presente, del futuro.

Le beatitudini sono lo sguardo di quel «grande amore» che «ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio».

Le beatitudini indicano la nostra figliolanza, rappresentano quel cuore che fa vedere Dio e vedere come lui. È lo sguardo stesso di Gesù: «Vedendo le folle, Gesù salì sul monte … si avvicinarono a lui i suoi discepoli». Che cosa vede Gesù? Egli vede quella “beatitudine” che nella sua vita, nella sua missione, lungo le strade della Palestina ha declinato in atteggiamenti, gesti, parole, scelte, stile… Egli consegna tutto questo ai discepoli di fronte a tutte le folle. Lo consegna come suo dono, sua chiamata; più ancora, è la sua vicinanza, il suo dare la vita a noi…

Auguro a tutti voi di poter vedere – giorno dopo giorno – come Dio, con cuore grande, puro, libero. A questo fine ci possiamo aiutare. È la testimonianza più attesa oggi. Non mancherà di essere con noi il Signore Gesù:

«Le beatitudini raccontano la vicenda di Gesù Cristo. Il santo allora non è un cristiano sempre oltre il limite, un uomo che esagera, duro e puro, ma semplicemente un cristiano in cui traspare il Signore, colui che, quando ha dettato le beatitudini, parlava di se stesso, dipingeva il proprio autoritratto» (Ermes Ronchi).