Isaia 62,11-12; Sal 96 (97); Tito 3,4-7; Luca 2,15-20
«Ecco, arriva il tuo salvatore». Il profeta Isaia ci sorprende con questo annuncio e ci induce a cercare la “novità” di Dio. Egli precisa che tale annuncio giunge dalle «estremità terra».
A noi forse sfugge questo stile di Dio. Lo vorremmo più gestibile, più conforme alle nostre logiche. Proprio per questo papa Francesco nell’udienza di mercoledì 19 dicembre ha parlato delle “sorprese di Dio”:
«Ma è nella notte di Natale che arriva la sorpresa più grande: l’Altissimo è un piccolo bimbo. La Parola divina è un infante, che letteralmente significa “incapace di parlare”. E la parola divina divenne “incapace di parlare”. Ad accogliere il Salvatore non ci sono le autorità del tempo o del posto o gli ambasciatori: no; sono dei semplici pastori che, sorpresi dagli angeli mentre lavoravano di notte, accorrono senza indugio. Chi se lo sarebbe aspettato? Natale è celebrare l’inedito di Dio, o meglio, è celebrare un Dio inedito, che ribalta le nostre logiche e le nostre attese».
Consideriamo il segno che l’angelo ha annunciato ai pastori: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Siamo per davvero in quell’ “estremità della terra”, di cui ha parlato il profeta Isaia. Siamo nella notte in cui Dio si lascia avvolgere in fasce.
In quella stalla c’è soltanto la mangiatoia. Lì è deposto il bambino appena nato. Quella mangiatoia è degna di Dio.
Nel cuore di quella notte il Dio delle antiche promesse sta svelando ciò che è rimasto nascosto dagli inizi: nelle fasce in cui si lascia avvolgere, è raccolto il suo immenso mistero, quello che a volte ci dà tanto timore.
Maria, Giuseppe, i pastori sono l’umanità che Dio continua a sognare, quella “Città non abbandonata” e “ricercata” di cui ha parlato Isaia. È l’umanità buona che ci è stata donata e affidata, a ciascuno, a tutti. Così l’ha pensata e creata il Signore del cielo e della terra.
Ora guardiamoci attorno: che cosa abbiamo perseguito e costruito nelle nostre vite?
Non sentiamo forse in noi un grande bisogno di quella stessa tenerezza con cui Maria – e, accanto a lei, Giuseppe e i pastori – ha prestato a quel bambino le sue cure di mamma?
Ecco dove si è giocata l’immensità di Dio.
Dove poi cercare la «grande gioia», annunciata dall’angelo ai pastori?
Abbiamo bisogno di ritrovare la nostra umanità per la quale Dio diventa un bambino in fasce, adagiato in una mangiatoia.
Permettete che io accosti a Maria, alle sue mani di mamma e di ostetrica, al suo sguardo di meraviglia, al suo cuore disponibile, quanto mi ha raccontato ieri una donna di origine mussulmana. Si riferiva alla profonda amicizia costruita tra alcune famiglie di cristiani e famiglie di mussulmani: «Sono grata di questa amicizia che ci lega, perché è la forza che porto con me in tante situazioni in cui sono io emarginata per la tradizione culturale e religiosa da cui provengo. Voi siete la mia forza e la mia fiducia».
Nel Natale – in quella notte in cui un bambino in fasce è deposto nella mangiatoia – Dio ha scelto di umanizzarsi. Non c’è un’altra strada di felicità.
Aiutiamoci. C’è molto da umanizzare in noi e attorno a noi! Come ha fatto Maria, attraverso le sue mani con le fasce che portava con sé, in quella mangiatoia… con la nostra vita, così umana come Dio l’ha pensata e amata!