Eravamo sperduti come un gregge

Omelia nella celebrazione della Passione del Signore - Cattedrale di Belluno
14-04-2017

Is 52,13-53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

«Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada».

Così Isaia descrive la situazione del popolo nel cosiddetto “quarto canto del Servo di Dio”. Immediatamente dopo il profeta spiega questa situazione di dispersione e la definisce «iniquità di noi tutti» che viene a ricadere su colui che il Signore chiama «il mio servo». Di lui si dice: «egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli».

Certamente su queste parole di Isaia, Gesù ha cercato di fare luce sulla sua vita, sulla sua missione, sul suo ministero e insieme a questo ha cercato di cogliere in profondità il senso della vicenda del popolo di Dio e, attraverso questa particolare storia, è entrato nelle profondità di tutta la vicenda umana.

Penso che in questo giorno, particolarmente in questa celebrazione della Passione del Signore, noi non possiamo non fermarci e chiederci: ma a me, a noi, a questa umanità… che cosa sta succedendo?

Siamo così diversi da quanto abbiamo ascoltato dal profeta Isaia: «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada»?

“Sperduti” dice un disorientamento percepito e sofferto che rende insoddisfatti e infelici…

“Ognuno di noi segue la sua strada”: è sentirsi abbandonati, senza riferimenti, incapaci di ricomporci e di condividere.

È drammatico quando nel disorientamento totale ognuno va per conto suo. Potremmo riassumere così: siamo perduti!

 

È decisivo nell’esperienza di fede fare verità sulla nostra vita, sulla situazione che viviamo e su ciò che fa soffrire e incute paura e angoscia.

Come comunità che si è posta al seguito di Gesù, nel venerdì santo, siamo chiamati ad entrare in questa “passione” per l’umanità. Contemplare la passione di Gesù è entrare nello scandalo della croce sulla qual c’è Colui che «porta[va] il peccato di molti e intercede[va] per i colpevoli».

La preghiera universale che fra poco innalzeremo al Padre intende essere questo passaggio, una “pasqua” di solidarietà con l’umanità e con chi più estesamente si sente perduto ed è abbandonato.

La nostra preghiera ci avvicina a quella silenziosa di Gesù sulla croce, dopo il gesto d’amore fecondo con cui al discepolo che amava dice: «Ecco tua madre!» e a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!». È l’atto generativo della sua croce. In quel dolore c’è il parto di un’umanità nuova. «Ecco tua madre! Ecco tuo figlio»: egli la pone anche nelle nostre esitanti mani.

Ed ora, con emozione, vorrei riportare l’attenzione del vostro cuore su di lui, il “figlio amato in cui il Padre si compiace”. Egli è lì, sulla croce. Dalla croce Gesù ci svela che questo amore “è compiuto”.

Vi invito a riascoltare le pochissime ma insuperabili parole che stasera nella sua passione ci ha rivolto:

  • «Chi cercate?»
  • «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato»
  • «Rimetti la spada nel fodero»
  • «Sono venuti nel mondo per dare testimonianza alla verità»
  • «Donna, ecco tuo figlio!»
  • «Ecco tua madre!»
  • «Ho sete»
  • «È compiuto!»