Essere Chiesa oggi nel terreno di questa nostra umanità

Assemblea dei presbiteri e diaconi - santuario del Nevegàl
16-06-2022

 

Dalla “sintesi diocesana” siamo ricondotti al cantiere delle 227 diocesi italiane. Nel comunicato finale dell’Assemblea generale della CEI sono stati enunciati tre “cantieri di ascolto” a cui ogni diocesi aggiungerà un quarto per proseguire in un ascolto più particolare e più a fondo nel prossimo anno pastorale 2022-2023. Ecco i tre “cantieri di ascolto” enunciati: «Le priorità per il secondo anno del Cammino sinodale, che dovranno essere ulteriormente messe a fuoco nelle prossime settimane negli incontri regionali tra referenti diocesani e Vescovi, si stanno profilando come “cantieri”, con momenti anche esperienziali, che favoriranno l’ulteriore ascolto delle persone. Le priorità individuate, sotto forma di “cantiere” sono tre: corresponsabilità e formazione degli operatori pastorali, ascolto dei “mondi” (poveri, giovani, donne, professioni, culture…) e snellimento delle strutture ecclesiali. Ogni Chiesa locale, poi, sceglierà un quarto cantiere, sulla base della sintesi diocesana raggiunta alla fine del primo anno di ascolto. La traccia per il secondo anno sinodale verrà consegnata ai primi giorni di luglio».

Stiamo completando la serie di sei incontri dei Coordinamenti foraniali. Manca solo quello della Convergenza foraniale di Ampezzo Cadore Comelico. Questo dato richiama l’iniziativa dell’Assemblea sinodale che abbiamo tenuto in due momenti, il 18 e il 25 settembre 2021. La Carta d’intenti che ne è scaturita è uno strumento pastorale che motiva e accompagna il nostro cammino di Chiesa. Poco dopo – il 17 ottobre – è stato avviato in tutte le Diocesi il sinodo “universale”, indetto da Papa Francesco, che ci ha particolarmente impegnati nei mesi successivi con la fase della “consultazione del popolo di Dio”, un tempo prezioso di ascolto che ha visto la nostra diocesi impegnarsi con circa 240 “gruppi sinodali” che hanno contribuito alla “sintesi diocesana” che stamattina Massimo Diana ci ha presentato.

Desidero esprimere un grande grazie a tutti i parroci che hanno partecipato all’incontro residenziale del Coordinamento foraniale insieme ai vicepresidenti dei Consigli pastorali. Mi hanno commosso profondamente la libertà e la responsabilità con cui hanno corrisposto all’invito e partecipato. Ho constatato in questi nostri preti, così come nei vicepresidenti dei CP, un grande amore per la Chiesa. È stato davvero bello toccare con mano che insieme – preti e laici – si può voler bene alla Chiesa. Ho riconosciuto nella loro testimonianza la risposta stupita e sincera di Pietro a Gesù: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17). Constatando questo non ho confuso le cose: voler bene alla Chiesa – così come il Signore Gesù la mette oggi e qui tra le nostre mani – è corrispondere alla domanda imbarazzante ed estrema di Gesù: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Non penso sia possibile per noi preti e diaconi il ministero a prescindere da questo rapporto d’amore con la Chiesa a cui ci chiama e ci inizia Cristo stesso. Chi ha vissuto con fiducia, nell’ascolto umile e sincero e con rispetto vicendevole, i tre momenti di cui era costituito l’incontro del Coordinamento foraniale ha sperimentato che è possibile sciogliere tra noi ancestrali gelosie, diffidenze immotivate, chiusure a oltranza, pregiudizi e sospetti di ogni genere, invidie che intaccano mortalmente il clima comunitario, paura di perdita di un certo potere e prestigio… Può succederci di tenere in vita –  seppure nascostamente – questi virus nei nostri ambienti ecclesiali. Ho visto volti rasserenati dall’essersi ascoltati, riconosciuti, apprezzati, incoraggiati. E su tale scia sono qui a chiedervi più fiducia e più sincerità nei rapporti tra di noi, anche abbandonando il linguaggio divisivo e contrapposto di quando diciamo “noi preti – voi laici”, dal momento che siamo tutti discepoli e discepole di Gesù Cristo. Così anche vi chiedo di non scoraggiare il “cammino sinodale” che stiamo aprendo e percorrendo come Chiese in Italia. Nessuno di noi ne parli male: Chiesa e Sinodo si equivalgono, secondo Giovanni Crisostomo. È su questo fronte aperto che la nostra Chiesa può sperare, può guardare con fiducia al futuro, può ancora testimoniare il Vangelo. Scrive Christoph Theobald:

«Il “camminare insieme” dei “discepoli della Via” (At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22) con Cristo Gesù sulle strade dell’umanità rappresenta infatti il metodo della trasmissione intrasmissibile del Vangelo di Dio».

Oggi nei nostri contesti di vita sentiamo la fede come ferita, assottigliata, smarrita, non riconosciuta, insignificante nella sfera pubblica e – come dicono alcuni – “esculturata”… Ma dall’esperienza dei “gruppi sinodali” ci viene un’indicazione preziosissima, che non possiamo ignorare. La domanda-richiesta di amicizia, che la nostra sintesi diocesana segnala al primo punto, sembra aprire una possibilità al futuro della fede nei nostri ambienti di vita (famiglia, amicizie, aggregazioni, comunità, società…). Sembra un aspetto marginale per la vita della Chiesa. I “cattolici zelanti” addirittura si scandalizzano di fronte a questa prospettiva che secondo loro offuscherebbe la verità di Cristo e annacquerebbe la certezza della fede. Eppure Gesù, sporcandosi mani e piedi, ha percorso tale strada dell’amicizia e della prossimità fino a obliare i tratti divini del suo volto.

A riguardo desidero condividere tre passaggi ripresi dalla conclusione del vescovo Erio Castellucci al libro “Benedetta crisi”, scritto a più mani.

1. «La domanda essenziale per un cristiano è: come posso farmi contagiare dalla gioia del Vangelo, per essere contento e poi, a mia volta, contagioso? Il conteggio misura la quantità superficiale, il contagio opera sulla qualità profonda. Il conteggio finisce per deprimere: più ci lamentiamo di essere in pochi, più ci scoraggiamo. Una fede non lamentosa, ma serena, diventa virale, una pandemia risanante. E crea una Chiesa sempre giovane, capace di guardare l’oggi e di vedere i tanti semi di bene che stanno crescendo giorno per giorno nel terreno delle nostre case, nelle nostre relazioni, nell’immenso campo seminato che c’è ma non si vede, nei sorrisi concessi e nelle lacrime asciugate, nelle preghiere quotidiane e negli abbracci che consolano».

2. «Guardiamo piuttosto ai tanti grani di senapa piantati nell’orto della nostra vita: crescono, come dice il Vangelo, “spontaneamente”. A noi basta che prepariamo il terreno giusto. Il terreno giusto è l’umiltà. Ogni crisi fa cadere tante certezze, lascia sul terreno molti cadaveri, ma c’è una relazione tra la parola “terreno” e la parola “umiltà”. […] L’umile è colui che si colloca a terra, che sta a contatto con il terreno. Proprio per questo è capace di far germogliare i semi del Regno, mentre il superbo (termine che viene da “super”, “stare in alto”) non vede cosa accade a terra e sotterra. Gli umili sanno vedere i segni del bene nascosti; i superbi invece scorgono solo ciò che si innalza e fa rumore. Gli umili sono meno preoccupati del numero di “mi piace” che raccolgono e più preoccupati di stare accanto a chi ha bisogno di affetto e consolazione. Chi aderisce alla terra è meno assillato del benessere individuale e più appassionato al bene comune, al rispetto per il creato, alla cura dei deboli».

3. «Una certa irrilevanza fa parte del dna della comunità voluta da Gesù; e una certa rilevanza, invece, pur comoda e rassicurante, è un organismo geneticamente modificato. Se in Italia i cattolici, pur nella necessaria diversità degli accenti, riuscissero a essere meno divisivi tra loro, meno schierati tra progressisti e conservatori, meno barricati sui fronti della destra e della sinistra, e più concordi con il Vangelo e la tradizione “viva” della Chiesa, avrebbe maggior rilevanza: non quella compatta in un partito politico unico e nemmeno in un’opzione culturale uniforme, ma quella ispirata a una fede comune dalle espressioni differenti, preoccupata di vivere e testimoniare quei valori (parola inflazionata, ma insostituibile) che hanno dato nella storia e danno tuttora un apporto umanizzante».

Da tutto questo emerge come lo specifico nostro ministero “ordinato” sia in reciprocità radicale e profonda con il nostro essere Chiesa oggi nel terreno di questa nostra umanità, fatta di ambiente e di storia. Guardando al nostro ministero, guardiamo al nostro essere la Chiesa di Cristo e guardiamo necessariamente al nostro essere “terreno” con i semi e i germogli del Regno che anche noi riceviamo in dono, accogliamo e coltiviamo.