Ho osservato la miseria del mio popolo

Intervento alla Veglia di riflessione e di preghiera nella Giornata della Memoria e dell’Impegno - Pieve di Cadore
20-03-2022

Proprio in questa domenica la Liturgia ci ha riservato queste parole raccolte nel libro dell’Esodo e rivolte a Mosè dal Signore, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele» (Es 3, 7-8a).

Secondo la tradizione biblica che narra il rivelarsi di Dio, non è mai stato che Dio sieda nel trono dei potenti, di coloro che ardiscono avere dei sudditi da comandare e usare per i propri fini. Dio è sceso per liberare il suo popolo. Questa è la verità di Dio. I cristiani ne parlano come della sua incarnazione. Gesù viene annunciato a una donna eccezionale che sarà sua madre. È una donna “umile” perché estremamente capace di solidarietà, di innocenza, di responsabilità. Lei si dichiara così: «Eccomi, sono a servizio di questa tua liberazione, Signore!». In questo annuncio a Maria si manifesta l’affacciarsi di Dio sulla nostra storia. Gesù ne è l’incarnazione e per questo dirà: «Non sono venuto per essere servito ma per servire e dare la vita in riscatto di molti». Fin dagli inizi Gesù attua la discesa di Dio per liberare il suo popolo. Questo è lo sguardo di fede, ma è anche lo sguardo di chi – non riconoscendosi in una tradizione religiosa – persegue legalità, giustizia, perdono e pace.

La Giornata della Memoria delle vittime di troppe mafie e – nello stesso tempo – Giornata del nostro Impegno, ha sullo sfondo questa parabola di esodo e di liberazione, a cui anche la nostra fede si ispira e che porta come promessa per tutti.

I temi di questa Giornata:

  • “prenderci cura della nostra comunità locale e reinterpretare il nostro essere cittadini globali”,
  • “avere un duplice sguardo: uno rivolto alla nostra madre terra e uno al nostro territorio”,
  • “germinare coltura nella terra e cultura nelle coscienze”,

hanno un solo nome e una chiara dinamica con cui perseguirli: si chiamano “amore”. Abbiamo pregato così: «Aiutaci o Signore a passare dall’homo sapiens all’homo amans, a diventare persone nuove nell’amore!».

Siamo tutti consapevoli che c’è una terra – la vera terra – che non è possesso e utilizzo di alcuni che la imbrattano con terrorismi, violenza, armi in pugno, estorsioni, tangenti, traffici illeciti, crimine organizzato… è e deve restare una “terra promessa” per tutti e a tutti, di ogni generazione. Sì “terra promessa” da amare… L’immagine biblica è straordinaria: «Terra bella e spaziosa… terra dove scorrono latte e miele».

Ed eccoci dinnanzi alla pagina delle beatitudini che l’evangelista Luca elabora in due quadri uno al positivo (Beati voi…) e uno al negativo (Guai a voi…).

“Beati voi”:

  • «Le beatitudini non sono etica e morale, ma sono rivelazione, sono annuncio da accogliere o rigettare, esprimono la logica e la dinamica del regno di Dio. Quel Regno che noi dobbiamo cercare per prima cosa (cf. Lc 6,31; Mt 6,33) nella consapevolezza che Gesù è la buona notizia, il Vangelo di Dio per noi» (Enzo Bianchi).

“Guai a voi”:

  • «In Luca alle beatitudini seguono i “guai”, grida di avvertimento per quanti si sentono autosufficienti. Si faccia però attenzione: non si tratta di maledizione, come spesso si dice o si traduce, ma di constatazione e lamento! Constatazione che chi è ricco, sazio e gaudente non capisce, non comprende (cf. Sal 49,13.21), non sa di andare verso la rovina e la morte, una morte che vive già nel rapporto con i propri fratelli e le proprie sorelle. Questi “guai” sono eco degli avvertimenti dei profeti di Israele (cf. Is 5,8-25; Ab 2,6-20), sono un richiamo a mutare strada, a cambiare mentalità e comportamenti, sono un vero invito alla vita autentica e piena» (Enzo Bianchi).

Papa Francesco ci ha dato una grande consegna per ritrovare la bellezza originaria di questa terra e della nostra umanità: Fratelli tutti.

Ed ecco il lievito nuovo della fraternità da cui lasciarci fermentare e da cui ricominciare: «È vero, la fraternità non si dà biologicamente, va costruita culturalmente, è un bene relazionale che il mercato non può produrre. Francesco l’ha rilanciata come un nuovo paradigma antropologico su cui ricostruire gesti e leggi perché “la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza” [Fratelli tutti, n. 103]. Senza vergogna la si può solo accogliere come una “scelta d’amore” per cambiarsi e cambiare il (proprio) mondo» [Francesco Occhetta, L’Espresso 7, 19-12-2021].

Beati voi… fratelli e sorelle!