La vita può produrre molto frutto

Omelia nella solennità dei santi Vittore e Corona – Feltre
15-05-2020

At 11,19-26; Sal 86 (87); 1Pt 3,14-17; Gv 12,24-26

Se ci guardiamo attorno, ci rendiamo conto come siamo cambiati dall’ultima celebrazione dei Santi Vittore e Corona. È trascorso un anno e la scena della festa si presenta diametralmente opposta. Dall’accorrere affollato della gente di questo territorio – su cui si erge il monte Miesna – siamo passati a una sorta di deserto, luogo di contenimento esistenziale e relazionale, spazio di domande che si riassumono in quel “perché?” che sta all’inizio e al compimento di ogni esperienza, di ogni storia.

Oggi il nostro chiedere “perché” è sostenuto e raccolto dall’intercessione dei Santi Vittore e Corona, dalla loro testimonianza di vita, dalla libertà e dal coraggio per cui si sono votati al bene più grande, alla vita che – come dice Gesù nella piccola parabola appena proclamata – è paragonabile ad un chicco di grano. Questo chicco cade in terra e muore, ma «produce molto frutto». Gesù parla di questa abbondanza di frutto in termini di “vita eterna”. Sembra ribaltare tutto Gesù con questo suo accenno. Occorre rivalutare la vita. Non basta quello che vediamo, che tocchiamo con mano, che ci accade. C’è un’ulteriore storia. La vita può produrre molto frutto. Da una caduta in terra, che appare come una disfatta e che porta morte, può prorompere un’energia di eternità, di sorprendente fioritura, di maturazione in abbondanza di frutti.

Qualche versetto più avanti rispetto al racconto evangelico che abbiamo appena proclamato, Gesù sembra esplicitare il “perché” di questa parabola del chicco di grano, caduto in terra, che muore, ma che porta molto frutto. Parlando al futuro dice: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). L’evangelista commenta così: «Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (Gv 12,33). È straordinario questo annuncio: Gesù non muore per dare gloria a se stesso, per diventare un eroe che ci supera o che ci travolge o che ci sconfigge. Egli cade in terra e muore per attirare tutti a sé. Ecco che cosa intende per “vita eterna”.

Immagino che Vittore e Corona – in questo particolare sodalizio che li apre ad una fraternità che oggi continua ad interpellarci – siano giunti qui, a lambire questo territorio con la loro testimonianza di vita e il loro martirio, per sollecitarci, convocarci, immetterci in questa dinamica del chicco di grano, caduto in terra e che produce molto frutto.

Oggi per noi è festa grande, perché “patronale”. L’Alto Comitato per la Fratellanza umana ha voluto che oggi sia anche una giornata in cui tutti, uomini e donne di ogni cultura e tradizione religiosa, si invochi il dono della guarigione da questa pandemia. Stiamo comprendendo giorno dopo giorno – pur tra tante contraddizioni che ci portiamo dietro – quello che ci è successo in questo tempo: è un grande appello alla vita, alla fratellanza, alla cura vicendevole, ad una radicale conversione nel nostro rapporto con l’ambiente che riconosciamo come “casa comune” da custodire, da conoscere, rispettare e amare. Non c’è solo un virus da esorcizzare e da sconfiggere, ma c’è una vita che deve produrre molto frutto, per tutti, nel segno di quell’ «attirerò tutti a me» che ci raggiunge come appello di responsabilità gli uni verso gli altri. C’è una guarigione da chiedere in dono e da operare con tutte le nostre potenzialità, energie e mezzi. Si tratta di guarire da ogni esasperazione dei particolarismi che limitano il “molto frutto” della parabola. Guardiamo a Vittore e Corona – a questi due martiri che hanno donato la vita per tutti a imitazione di Cristo – perché comprendiamo che ora davanti a noi non c’è solo una sanità da ottenere, una economia da riattivare, una logica finanziaria da ristabilire, un’immagine socio-culturale da salvare per concorrere sul mercato globale dei primati. C’è, invece, la vita nel suo affascinante mistero di dono e di responsabilità, di mutua accoglienza e cura, di libertà donata, di fratellanza umana, di vicendevole riconciliazione, di sobrietà e condivisione, di apertura al Trascendente, a cui appassionarci, educarci, dedicarci, per cui ripensare il nostro essere società e il nostro ritrovarci in comunità, in famiglia…

Raccogliamo dall’apostolo Pietro parole che riguardano tutti e non solo la comunità cristiana a cui si rivolge, anzi si tratta di parole da imparare ancora gli uni dagli altri: siate «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza».

Per le nostre comunità cristiane resti viva la testimonianza e l’intercessione dei patroni Vittore e Corona, la limpidezza e il coraggio con cui hanno testimoniato, con la vita donata, la speranza che nutrivano per il Vangelo.

In particolare, dalla prima lettura, raccogliamo la testimonianza anche di Barnaba, che anticipa quella di Vittore e Corona. Egli è un uomo buono che ha valorizzato il lavoro di altri – di Paolo – senza pretendere per sé l’onore delle cronache. È il volto di una Chiesa fatta di persone buone, giuste, solidali che sanno valorizzare gli altri, condividerne i valori per perseguire il bene di tutti.