Li amò fino alla fine

Omelia nella celebrazione della Passione del Signore - Cattedrale di Belluno
10-04-2020

Is 52,13-53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

L’evangelista Giovanni narra che dopo la cena – che abbiamo celebrato ieri sera – Gesù esce con i suoi discepoli. Questo suo uscire è anche l’inizio del dramma finale che lo porterà ad essere ingiustamente condannato e crocifisso. Durante quell’ultima cena, lavando e asciugando i piedi dei discepoli, Gesù aveva contrastato la logica negativa del misterioso tradimento che si stava manifestando e in cui si trova coinvolto Giuda, uno dei discepoli. L’evangelista introducendo il racconto aveva dato la chiave di lettura: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine». L’evangelista, ripercorrendo i fatti a cui verosimilmente ha partecipato, ci mostra la competizione che avviene, negli ultimi giorni della vita e della missione di Gesù, tra la violenza che si scatena, a seguito del tradimento, al fine di ostacolare il bene e sopprimere il giusto e, dall’altra parte, la scelta di Gesù di operare per amore fino in fondo, liberando ogni energia di bene, portando al suo frutto maturo il dono della vita. Possiamo cogliere nell’evangelista un sentimento intenso che compenetra tutto della sua persona e della sua vita. Giovanni ci sta dicendo di aver sperimentato, in Gesù, un “amore grande”. In ogni passaggio del racconto della passione l’evangelista ci testimonia questo: «Gesù mi ha tanto amato, non ha mai smesso di farlo, fino alla fine». Ci commuove che alla fine del racconto possa essere proprio lui, sotto la croce, a ricevere un affetto e un dono che non hanno pari e non hanno spiegazioni: «Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”» (Gv 19,26-27). Negli ultimi istanti della vita, mentre lotta tra la vita e la morte, Gesù testimonia, con il proprio corpo crocifisso e dando la sua vita, che solo un amore che persevera sino alla fine e solo una libertà votata al voler bene oltrepassano le forze di morte che ci portiamo dietro, di cui la vicenda umana spesso è diventata vittima, ma anche artefice.

Prima di chinare il capo e di consegnare lo spirito, Gesù dice: «È compiuto!».

È la scelta d’amore di Gesù che resta come parola definitiva, come la più grande promessa di Dio.

La vita è compiuta, l’amore è compiuto, il bene è compiuto, su ogni morte, su ogni violenza, su ogni ingiustizia.

Nel racconto della passione c’è un’eco che viene dalle antiche Scritture, precisamente dal profeta Zaccaria: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Volgiamo anche noi il nostro sguardo a colui che è stato trafitto, facciamolo come siamo: fragili, timorosi, inadeguati, ma, dalla parte dell’amare “fino alla fine”, dalla parte del Cristo crocifisso.

Contemplandolo ed entrando nella sua visione ci si prepara e ci si apre al manifestarsi dell’Amore che fa risorgere.

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Questo pensiero di un Autore ci aiuta in questa contemplazione:

«Troppo tardi, purtroppo, si comincia a capire che della propria vita si può salvare solo l’aver amato e l’essere stati amati nella libertà, mentre le altre cose non danno senso, non forniscono una ragione per cui valga la pena vivere. Se comprendessimo che sarà solo l’amore che avremo liberamente vissuto a introdurci nella vita eterna, allora la nostra vita cambierebbe» (Ludwig Monti).