Nel 56° anniversario del Vajont

Omelia nel cimitero di Fortogna - Longarone
09-10-2019

Giona 4,1-11; Sal 85; Lc 11,1-4

Siamo qui in un luogo di misericordia. Poco fa abbiamo pregato con il salmo 85: «Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno di misericordia con chi t’invoca».

La misericordia, però, non è facile. Possono esserci situazioni della vita in cui ci è difficile entrare in questa condizione e visione. Così è successo a Giona, protagonista del racconto ascoltato nella prima lettura. La sua preghiera a Dio è schietta e cruda: «Mi affrettai a fuggire a Tarsis, perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!».

Siamo qui nella fragilità che il ricordo di tanti cari familiari, paesani, conoscenti, amici – qui sepolti a seguito della tragedia del Vajont – suscita in noi.

Accanto a Giona e alla sua sofferta preghiera poniamo la nostra domanda inquieta sulla vita, sulle nostre esperienze più pregnanti e più intime, sul vissuto condiviso delle nostre comunità, sulle responsabilità inattese di questa nostra storia.

Ma nel nostro tormentato cercare, è possibile il soffio di una parola viva, luminosa, coraggiosa. Il dialogo intrecciato tra Dio e Giona apre un orizzonte di speranza a cui ci abbandoniamo, ci consegniamo, ci votiamo: «E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centomila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?».

 

La risposta di Gesù alla richiesta di uno dei discepoli – «insegnaci a pregare» ci colloca in questa nuova dimensione di vita. Gesù ci consegna un rapporto nuovo che si radica nella nostra nativa fragilità, ma è sostenuto da una misericordia immensa, quella di Dio. Gesù ci insegna a chiamarlo “Padre”. Il padre nella vita di ciascuno di noi ci appartiene, lo portiamo dentro. Anche quando fisicamente lo lasciamo, ci cresce dentro.

La novità di Gesù giunge a sanare la fatica e il sudore del pane quotidiano e viene a liberare i debiti vicendevoli, chiedendo di entrare nella dimensione del Regno del Padre.

Attorno a questa Eucaristia che celebriamo nel ricordo dei nostri cari, apriamoci ancora alla vita, scegliamo di vivere.

Un ultimo pensiero raggiunge da questo luogo di misericordia il Sinodo per l’Amazzonia che si sta svolgendo con Papa Francesco. Sentiamo che il Vajont si rapporta con l’Amazzonia. Per questo ascoltiamo le parole pronunciate da Papa Francesco, domenica, nella Messa di apertura: «Quando senza amore e senza rispetto si divorano popoli e culture, non è il fuoco di Dio, ma del mondo. […] Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi. Il fuoco appiccato da interessi che distruggono, come quello che recentemente ha devastato l’Amazzonia, non è quello del Vangelo. Il fuoco di Dio è calore che attira e raccoglie in unità. Si alimenta con la condivisione, non coi guadagni. Il fuoco divoratore, invece, divampa quando si vogliono portare avanti solo le proprie idee, fare il proprio gruppo, bruciare le diversità per omologare tutti e tutto».