Nelle esequie di don Flavio Del Longo

Chiesa parrocchiale di Valle di Cadore
18-09-2020

1Cor 12,31-13,13; Sal 32; Lc 7,31-35

Don Flavio ci ha convocato oggi nel suo paese d’origine, Valle di Cadore, tra i suoi familiari a cui va il nostro affetto e la nostra preghiera: «Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino». Questa commovente confidenza dell’apostolo Paolo, la sentiamo viva, sincera, riconoscente nella scelta da parte di don Flavio di tornare qui, nei luoghi di “quand’era bambino”.

È un’immagine bella per incontrare ancora l’animo limpido, semplice, innocente di don Flavio. Ha portato questa fresca origine nei tratti del suo volto giunto nella condizione dell’anzianità e dell’infermità del suo corpo. L’ho conosciuto e visto sempre seduto, piegato in avanti nella sua carrozzella. L’abitava con una sapiente serenità. Appariva dimesso e scorgevi nella profondità del suo sguardo quello che Gesù ha dichiarato nel racconto evangelico che abbiamo ascoltato mercoledì, giorno della morte di don Flavio: «Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli». L’ultima stagione di vita, trascorsa nella casa Kolbe, è una scena di consegna disponibile e senza pretese. È la sapienza in cui don Flavio ha posto le sue radici, la sua crescita, il suo ministero, la sua vita. Per Gesù egli ha saputo – uso le stesse immagini del Vangelo – suonare il flauto e gioire nel cuore. Per Gesù ha saputo anche esprimere il lamento e il pianto. Quanti di voi avete goduto della sua vicinanza e del suo ministero, potete puntualmente ricordare i tratti della sua umile sapienza. Nel ministero egli ha saputo portarla con sé e parteciparla nelle ordinarie situazioni di vita pastorale. Certamente l’ha consegnata come un balsamo di consolazione nella cura degli infermi e degli ammalati. Questa condizione è diventata anche la sua forma di vita, portata con discrezione e dignità.

Ne raccogliamo il frutto che ora è anche gratitudine e preghiera. Sembra che la sua voce oggi diventi come una brezza leggera, un silenzio che parla, una lieve carezza, per noi «che vediamo in modo confuso, come in uno specchio». Ci raggiunge e ci confida: «vedremo faccia a faccia… conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto… rimangono queste tre cose: la fede, la speranza, la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!».

Sì, don Flavio è “faccia a faccia” nella Carità che è «la più grande di tutte».

La sua storia di uomo e di prete non è mai diventata un «bronzo che rimbomba o come un cimbalo che strepita». Egli portava un seme di quella «carità che non avrà mai fine». Il tragitto della vicenda umana e ministeriale di don Flavio, attraversando il Comelico, la Valbelluna, l’Agordino, la Valle di Gares, il Cadore ha sparso la semente della carità che, come dice l’apostolo Paolo: «Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».

Il salmo 32 ci ha fatto proclamare una professione di fede che don Flavio ha raccontato con l’affabilità del suo essere e del suo operare: «Dell’amore del Signore è piena la terra». Ci hanno colpito le testimonianze – rese pubbliche – degli ultimi due preti che don Flavio ha accompagnato e sostenuto prima di concludere il suo servizio di parroco: d. Alessandro e d. Fabiano. Hanno raccontato l’ospitalità sincera e cordiale che hanno ricevuto e goduto: vi si poteva dimorare come in una custodia d’amore. Come ci ha detto Gesù: «La sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

Comprendo così lo sguardo che colpiva di don Flavio: i suoi occhi sembravano diventare grandi, ti fissavano e non ti mollavano, si affezionavano a te, ne coglievi il suo coinvolgersi, mentre il silenzio sosteneva questo suo paziente modo di rapportarsi. È ancora la carità, magnanima, non invidiosa, che non cerca il proprio interesse, che «si rallegra della verità».

In questa Eucaristia, raccogliendo anche il vissuto di preghiera di d. Flavio, chiediamo al Signore ciò che è più grande di tutto, come abbiamo pregato nel salmo: «Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo».