Nelle esequie di don Igino Cardin

Borca di Cadore
01-02-2021

Eb  2,14-18; Sal 104; Mc 1,29-39

Siamo qui in questo stupendo scenario dolomitico, nella chiesa di Borca di Cadore, per un riconoscente abbraccio celebrativo al nostro caro d. Igino. Lui si è consegnato come figlio ammirato a questa amata comunità di Borca. In questa terra, in questa valle, tra queste montagne, lungo lo scorrere del Boite don Igino si è appassionato nello svolgere attivamente gran parte del suo ministero presbiterale. Il brano della lettera agli Ebrei che abbiamo proclamato è quello della liturgia del giorno in cui don Igino ci ha lasciato, mercoledì 27 gennaio. È iniziato con queste parole: «Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici». È stato per davvero un lungo “giorno per giorno” il presentarsi da parte di don Igino qui, in questa terra, con la sua intraprendenza fatta di una spiritualità incarnata che sapeva ospitare, animare, valorizzare, organizzare, trascinare, accompagnare, fino al gesto più sacerdotale dell’avvicinare a Cristo. Tante persone, uomini e donne, famiglie, gruppi parrocchiali, bambini, giovani, studenti e anziani, proveniente da tante parti d’Italia, potrebbero qui raccontare una storia di accogliente ospitalità, di cui don Igino è stato fautore in forza della cura pastorale a cui si è dedicato con passione e dedizione.

Anch’io ho mille particolari di questo suo “giorno per giorno”, fin dal 1971, quando, da seminarista in vacanza al Pio X di Borca di Cadore, conobbi il frizzante nuovo direttore. Alla solenne e severa figura di mons. Vittore Colao subentrò d. Igino. Iniziarono così e maturarono iniziative di pastorale del turismo che si intrecciavano con una pastorale della scuola che proveniva dalla vitalità precedente del Pio X.

Il racconto, che abbiamo ascoltato, della parabola del seminatore che esce a seminare molto opportunamente è anche il racconto della parabola di vita e di ministero di d. Igino. Giunse quassù dalla Chiesa di Padova dapprima come giovane prete nel servizio di vicerettore. Vi è ritornato nel 1971 dopo otto anni trascorsi a servizio della diocesi suburbicaria di Sabina – Poggio Mirteto, nei pressi di Roma. Sono campi di semina diversi, ma in entrambi don Igino non ha esitato a porsi sulla scia e nello stile del seminatore della parabola di Gesù. Anche qui in montagna. E l’ha fatto con quell’abbondanza e quell’ovunque di cui parla Gesù. Sì, don Igino ha fatto il seminatore: ha posto dei segni di inizio, con l’immediatezza e l’energia che lo caratterizzavano. Come il seminatore ha lasciato che il seme fosse affidato alla realtà del terreno che lo riceveva. Così ha fatto con le mille persone incontrate e con gli studenti ospitati in convitto. Il seminatore affida, dà fiducia, dopo di aver dissodato il terreno e di averlo irrigato. Lo fa anche con il terreno sassoso. Don Igino era convinto che l’energia dello Spirito e la sapienza evangelica avrebbero fatto germogliare il seme. Penso che egli non abbia nutrito la pretesa di raccogliere il frutto, di misurarlo, di pesarlo.

Ho potuto sostare per settimane intere qui, in particolare per la formazione dei preti. Mi colpiva il suo tratto interiore che a volte poteva essere velato dalla sua tempra organizzativa. La ristrutturazione della cappella dell’Istituto fu voluta da lui. Fu il segno più appariscente di un animo contemplativo che cercava il bello della natura che ispira l’arte e di una spiritualità di tono “pasquale”. Volle al fondo e al centro dello spazio celebrativo la statua in legno del Risorto. Intendeva che quel luogo fosse il cuore della casa.

Ma questo era anche lo sguardo stupito con cui ammirava queste alte e possenti montagne. Si sentiva custodito e protetto dall’Antelao pur nella sua vicinanza incombente. Del Pelmo raccoglieva le mille sfumature di colore e di imponenza. La Croda Marcora era per lui un’immensa parete domestica. Ricordo alcune escursioni che lui ha organizzato e guidato per gli ospiti, per le famiglie in vacanza. Sapeva intrecciare queste esperienze di contatto con la natura e di condivisione fraterna e familiare con un’ispirazione di lode stupita e di alta gratitudine al Signore del Creato.

Ed ora, carissimo don Igino, dopo l’accoglienza premurosa e sollecita in Casa Kolbe a Pedavena di questi ultimi anni, rieccoti tra queste amate montagne. Sono anche la tua casa. In essa, fatta di grandi altezze, ora tu sai riconoscere il Risorto che apre le braccia nel dono della vita piena ed eterna.