Parole che rigenerano e danno vita

Omelia nella domenica della Parola di Dio - Lettorato di Stefano De Cian - Cattedrale di Belluno
23-01-2022

Ne 8,2-4a.5-6.8-10,1-6; Sal 18(19); 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4;4,14-21

«Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». Ecco le parole che vengono a noi da molto lontano. Le rivolge «all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere» lo scriba e sacerdote Neemia. Era stato ritrovato nei magazzini del Tempio di Gerusalemme il libro della Legge. Neemia incoraggia a non restare nella tristezza, ad uscirne, perché «la gioia del Signore» è la forza per noi. Questa espressione sembra dirci che il Signore è fatto di gioia e che diventa forza per noi. Sono parole che ci stupiscono!

C’è una seconda assemblea, più recente nel tempo: nella sinagoga di Nazaret. In questo villaggio della Galilea Gesù era cresciuto. Citando Isaia, Gesù pronuncia parole che fanno gioire i poveri, che promettono liberazione, che offrono luce, che donano libertà agli oppressi e iniziano un tempo di grazia per tutti. Gesù dichiara che ciò che egli sta leggendo da Isaia si compie e precisa: «Oggi». L’evangelista Luca ci avverte che «gli occhi di tutti erano fissi su di lui».

Inoltre la Parola ascoltata nella seconda lettura ci parla di una terza assemblea: è la comunità dei discepoli del Signore di Corinto. L’apostolo Paolo si rivolge ad essa così: «Ora voi siete il corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra».

Si tratta di parole che ci rigenerano, ci danno vita, illuminano il nostro faticoso e incerto cammino. Tutte queste parole diventano promessa, chiamata, forza… “oggi”, in questo nostro fissare gli occhi della nostra vita e della nostra fede su di Lui, su Gesù. Noi tutti siamo affamati e assetati di parole buone, vere, sane… in un contesto in cui troppe chiacchiere ci illudono e spesso ci lasciano vuoti e perduti.

In questa domenica della Parola di Dio, che papa Francesco ha voluto istituire tre anni fa, noi discepoli e discepole del Signore ci troviamo dinnanzi a quel grande dono attorno cui siamo continuamente convocati ad ascoltarlo, ad accoglierlo, ad abitarlo, a condividerlo… Nel Natale abbiamo contemplato la “Parola che si è fatta carne per salvarci”. Nel primo libro della Bibbia è raccontato che Dio con la sua parola ha creato l’universo intero. Dunque la sua Parola si è fatta carne in Gesù per abbracciare ogni uomo e donna e per aprirci a tutta quanta la vita. Questa stessa Parola oggi ci affratella per rinnovare e rigenerare la vita del mondo. Mi ha colpito, in questi giorni, una riflessione letta in un quotidiano che incoraggiava i credenti a custodire e salvare “la parola”, poiché salvandola si riscatta «il divino rivelato nella storia umana». Di seguito si affermava: «La parola è lo spazio in cui prende forma l’umano e in cui la differenza è costruita come relazione. […] Chi spegne la fraternità, spegne la parola. Chi spegne la parola, spegne in se stesso l’umanità».

Per noi discepoli del Signore il suo Vangelo è “la nostra forza”. Oggi, nel momento debilitante che stiamo attraversando, ci sentiamo coinvolti a custodirlo, donarlo, condividerlo.

Paolo nella seconda lettura ci ha consegnato l’immagine straordinaria del corpo fatto di molte membra tutte diverse, ognuna con la particolare funzione che si spiega solo in rapporto a tutte le altre. Tutti siamo quell’unico corpo. Vi cogliamo la parola promettente della fraternità, dell’unico corpo formato da molte membra. Oggi particolarmente è da custodire, da donare e condividere come “Vangelo”, come liberazione da tante schiavitù che abbiamo, come “anno di grazia del Signore”.

Lo auguriamo particolarmente al seminarista Stefano De Cian, a cui stasera affideremo il ministero del Lettorato, poiché – come abbiamo sentito dalle parole con cui l’evangelista Luca si è presentato all’inizio del suo Vangelo – la parola del Signore ci chiama, ci salva, ci affratella e allo stesso tempo ci viene consegnata perché noi con la nostra vita la serviamo per tanti fratelli e sorelle che incontriamo.