Prima domenica di Quaresima

Cappella Centro Giovanni XXIII
01-03-2020

Gn 2,7-9; 3,1-7; Sal 50 (51); Rom 5,12-19; Mt 4,1-11

In questa prima domenica di Quaresima, mentre siamo ancora all’inizio dell’itinerario che ci porterà a celebrare solennemente la Pasqua, il racconto del Vangelo ci ha portati all’inizio del ministero di Gesù. L’evangelista Matteo, appena prima del racconto odierno, aveva raccontato che Gesù al Giordano si era fatto battezzare da Giovanni il Battista: «Si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere […] e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il mio Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”».

Per Dio ogni inizio è un vibrare del suo Spirito. E vi è un amore che genera. Ineffabile questa confidenza: «È il mio Figlio, l’amato».

La Liturgia della Parola ha posto come prima lettura quest’altro primo inizio avvolto dal silenzio primordiale: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente».

La Quaresima è la possibilità di essere ricollocati in questo inizio, dove è lo Spirito a condurre, a soffiare, ad alitare; dove l’amore ancora ci genera; dove Dio non ti abbandona ma ti svela che Lui è per te: “sei il mio figlio, l’amato”…

Mercoledì scorso papa Francesco ha spiegato così questo tempo di inizio: « È tempo di grazia, per accogliere lo sguardo d’amore di Dio su di noi e, così guardati, cambiare vita. Siamo al mondo per camminare dalla cenere alla vita. Allora, non polverizziamo la speranza, non inceneriamo il sogno che Dio ha su di noi. Non cediamo alla rassegnazione. E tu dici: “Come posso aver fiducia? Il mondo va male, la paura dilaga, c’è tanta cattiveria e la società si sta scristianizzando…”. Ma non credi che Dio può trasformare la nostra polvere in gloria?».

Ciò che stiamo vivendo in questi giorni non può farci perdere questa verità più profonda, questa storia più vera. È il grido di speranza che abbiamo ascoltato dall’apostolo Paolo che considera, dapprima, il dramma della nostra storia e ne prova smarrimento e spavento, ma che, subito dopo, ritrova il vero inizio: «Per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna […] per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita».

Siamo messi al mondo, sempre di nuovo, per raccontare la vita, per riconoscerne e raccoglierne i piccoli segni, per spargerne e coltivarne i semi ovunque… Anche in questi giorni: dalla cenere alla vita, perché lo Spirito alita un soffio vitale e l’amore genera…

E, poi, ecco il luogo dove davvero l’amore diventa amore, dove Dio si dona come Dio della vita: la tentazione, il deserto, la prova, la fame, la vertigine del potere…

Ma ecco la novità cristiana: nel deserto e nella tentazione che la vita comporta è Lui il Figlio primogenito di molti fratelli e sorelle colui che apre, in esclusiva e definitivamente, la via della vita da figli amati.

Non ci spaventano la nostra fragilità, la nostra mortalità, neppure le nostre cadute. Sì, ci incutono timore e il senso di non farcela e di essere impotenti. Ma fin dall’inizio c’è quell’amore a cui siamo aggrappati. Direbbe Paolo: chi potrebbe strapparci dall’amore di Cristo?

Siamo qui per dirci l’un l’altro: sulla scia di Gesù “tu sei l’amato, tu sei l’amata, voi siete gli amati”. Siamo qui per confidarcelo nel cuore, per celebrarlo in questo luogo, su questa mensa eucaristica… per portarlo con noi e donarlo come piccola luce da alimentare…

E siamo qui per sostenerci, perché siamo ancora nei quarant’anni del deserto dove si è tentati. Ma davanti a noi c’è il Signore Gesù. Non ci sono “eroi” tra noi. Ci sono solo discepoli al seguito di Gesù: sì, fragili, ma attraversati da fremiti di vita; un po’ stremati, ma abbracciati dall’Amore che genera…