Scrigni di gioia e di pace interiore

Omelia nelle esequie di d. Lino Del Favero
18-05-2022

At 15,1-6; Sal 121; Gv 15,1-8

Siamo qui ad accompagnare per questo ultimo e compiuto transito il nostro don Lino: ci siamo come presbiterio con il vescovo Giuseppe, che poi accompagnerà la salma al cimitero di Valle di Cadore; ci siamo come rappresentanza delle tante comunità in cui don Lino ha svolto il suo infaticabile ministero; ci siamo anche come aggregazioni ecclesiali che don Lino ha sostenuto appassionatamente e con assidua frequentazione: l’Unitalsi e il Rinnovamento dello Spirito.

La consapevolezza per noi tutti guardando a don Lino e al suo ministero è di trovarci dinnanzi a un considerevole segno e a una consistente testimonianza del cammino della nostra Chiesa: vi riconosciamo comunità (una decina…), luoghi, tempi, eventi che don Lino ha vissuto, incontrando persone, ospitando seminaristi, collaborando con i confratelli preti… Potremmo dire che don Lino ha anche portato tutto questo sulle sue solide spalle, senza mollare un attimo, prendendo dentro tutto quanto, infaticabilmente. Gli apostoli Paolo e Barnaba nel loro viaggiare di comunità in comunità, di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli, tratteggiano anche le vicissitudini di ministero di don Lino. Di loro nella lettura appena proclamata è detto: «Essi dunque, provveduti del necessario dalla Chiesa, attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli». Immagino sia anche la gioia di tanti ammalati, barellieri, sorelle, operatrici e operatori sanitari, dottoresse, pellegrini, associati… che hanno vagliato la fedeltà indiscussa di don Lino, il suo robusto sostegno e accompagnamento spirituale. Questo attraversare da parte di Paolo e Barnaba di tante località richiama plasticamente l’interminabile successione di luoghi che sempre nei pellegrinaggi, dentro il recinto del santuario di Lourdes, don Lino faceva visitare.

Viene spontaneo il ricordo del suo 50° pellegrinaggio – ormai tre anni fa – l’ultima volta in cui abbiamo potuto andare a Lourdes, quando la sua abituale sede era diventata la carrozzina. Si fece accompagnare ovunque. Infatti la sua vita era stata ribaltata: era diventato ciò che aveva amato, era diventato quelli che aveva servito.

Noi non abbiamo parole più veritiere delle parole di Gesù per raccontare questa sua incarnazione e questa sua pasqua: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me».

Ho presente le lacrime di commozione di don Lino quando, in quel pellegrinaggio, volle ricevere l’unzione degli infermi: erano scrigni di gioia e di pace interiore.

Da allora egli ha vissuto come un nonno dolce e affabile, arreso all’imprevedibile della vita, fino al suo spegnersi con cui, nell’ospitale casa di soggiorno di Meano, ha portato a compimento il suo viaggiare, il suo servire, il suo fare, il suo pregare. Ed ecco la rassicurazione di Gesù, Lui che è la vite in cui i tralci rimangono e fruttificano: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Ci fa molto riflettere l’immagine con cui Gesù ci racconta del Padre suo: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore». Dal Comelico, passando per il Cadore, fino all’Alpago don Lino ha disegnato la parabola di un solerte agricoltore. La sua paternità pastorale ha manifestato concretamente ciò che Gesù dice del Padre: «È l’agricoltore».

Poi, don Lino, nella vita e nel ministero, nell’incontro umile e sincero con gli altri, di fatica in fatica, di gioia in gioia, ha scoperto la bellezza di essere, in forma spoglia e disarmata, un tralcio rimasto nella vite, la quale è viva perché genera tanti altri tralci: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla».

In questa Eucaristia di saluto don Lino ci fa una consegna: ci mostra il suo radicarsi in Cristo con la Chiesa; ci sollecita ad amare Cristo nella Chiesa. Ora sembra incoraggiarci e dirci che ciò è umanamente possibile.

Il nostro affetto, la nostra riconoscenza, la nostra preghiera non possono che sciogliersi nelle parole del salmo: «Quale gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore!”. Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!».