Siamo qui a mendicare

Omelia alla Messa vespertina nella Cena del Signore – Giovedì Santo - Cattedrale
18-04-2019

Es 12,1-8.11-14; Sal 115 (116); 1 Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

In questa serata la Chiesa entra nel Triduo pasquale, cuore di tutto l’anno liturgico. Poco fa abbiamo pregato così: «O Dio, ci hai riuniti per celebrare la santa Cena […] fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita».

In questo passaggio dei tre giorni siamo presi dentro un “mistero” – dunque qualcosa di ineffabile e immensamente sproporzionato rispetto a quello che siamo e che possiamo fare – per ricevere “pienezza di carità e di vita”. Non possiamo attenderci di più: carità e vita rappresentano il massimo per noi. Intuiamo che una tale pienezza può soddisfare la nostra attesa di felicità.

Ma siamo qui semplicemente a “mendicare” tutto questo. La prima lettura ci ha ricordato una condizione di vita difficile, da cui essere liberati. L’esperienza del Popolo d’Israele che attende di essere liberato e salvato è dentro di noi. La storia umana si manifesta ovunque e sempre come una grande attesa di liberazione. La preghiera appena innalzata a Dio nel salmo 115 è significativa: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: tu hai spezzato le mie catene».

Eccoci qui dove attingere pienezza di vita! Sono le parole e i gesti di Gesù che Paolo ci ha ricordato: «Questo è il mio corpo, che per voi».

Eccoci qui anche ad attingere pienezza di carità! È proprio quello che Gesù intende compiere: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».

Ci possiamo chiedere: ma la nostra partecipazione a questo dono di vita e di amore come può avvenire?

Alla fine del racconto della pasqua del popolo d’Israele, vi è una consegna: «Questo giorno sarà per voi un memoriale, lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne».

Ma anche a noi, qui convocati per la Cena del Signore, è detto nella seconda lettura: «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga».

Siamo qui stasera, in questo rito della santa Cena all’inizio del Triduo pasquale, per attingere alla pienezza di vita e di amore di Gesù.

La vicenda di Pietro narrata dal quarto evangelista è indicativa per noi. La ricostruisce così una biblista, Rosanna Vigili:

«E Lui che, nella sua ultima settimana al mondo, dopo aver amato i suoi, voleva amarli “sino alla fine” (Gv 13,1) volle farlo cominciando dai piedi. “Non mi laverai i piedi in eterno”, dice Pietro; “se non ti laverò non avrai parte con me”, replica paziente Gesù, con parole, in verità, sibilline. Ma che Pietro, in uno dei suoi imprevedibili picchi di genialità, capisce al volo, riparando in un repentino: “Signore, allora non solo i piedi, ma anche le mani e il capo” (Gv 13,8–9). Quello che ha fatto papa Francesco di baciare i piedi dei due potenti leader del Sud del Sudan è molto più che un gesto di umiltà e il contrario di un’umana umiliazione. È una ubbidienza all’invito di Gesù: “Come io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” e una pagina di quelle lezioni d’amore che Gesù continua a dare alla Chiesa e all’umanità. “Svuotò sé stesso” – dice Paolo: ogni bacio ai piedi è una goccia di Pace che, dalla fronte e dalle labbra del Signore va a sciogliere le rughe delle estremità ferite e spaccate della terra».

Con il rito che celebriamo ecco la nostra vita con “una goccia di Pace”!