Sotto la croce un germoglio di umanità rigenerata

Omelia nella celebrazione della Passione del Signore - Cattedrale di Belluno
02-04-2021

Letture bibliche: Is 52,13-53,12; Sal 30 (31);
Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

Siamo giunti ai piedi della croce. Non c’è certamente più scampo per Gesù. Mentre sommariamente lo processavano, Gesù aveva ancora la forza di reagire alla negatività che lo stava travolgendo. Di fronte ad Anna, ricevuto lo schiaffo di una guardia, Gesù ha controbattuto: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Anche dinnanzi a Pilato, dopo un iniziale silenzio, Gesù ha risposto: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto». Poco prima gli aveva detto: «Il mio regno non è di questo mondo». E alla domanda di Pilato se fosse re, Gesù ribattè: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità».

Ma ora, innalzato sulla croce, Gesù sembra entrare in un’altra dimensione. Pare che Lui non debba più combattere con l’ingiustizia e la violenza che lo colpiscono. Ora dalla croce Gesù sembra avere uno sguardo nuovo su ciò che sta avvenendo. La situazione che era precipitata nel giardino al di là del torrente Cedron, dove Gesù e i suoi discepoli erano stati raggiunti da Giuda e da un gruppo di soldati e guardie, qui si ribalta. Sotto la croce avviene una scena di estrema delicatezza e di grande intimità. È Gesù stesso a crearla. Dopo la sua entrata a Gerusalemme, dando seguito alle parole sul chicco di grano che muore per portare frutto, Gesù aveva promesso: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Ora sotto la croce c’è già un germoglio di umanità rigenerata. Intravediamo la dolcezza di sua madre, Maria, l’amorevolezza di Maria di Magdala, il tenero sostegno della sorella della madre di Gesù e dell’altra Maria. E, poi compare questa figura particolare, il discepolo che Gesù amava. L’evangelista ce l’aveva fatto conoscere nel momento in cui, nell’ultima cena, lavati i piedi ai discepoli, Gesù sente incombere il suo tradimento. Nella scena sotto la croce Gesù avvia e conduce un dialogo d’amore: «Donna, ecco tuo figlio» – e al discepolo – «Ecco tua madre!». Il chicco di grano che muore sta già portando il suo frutto. Nel dramma della croce questa scena è un germoglio che già spunta. Gesù dice: «È compiuto!». Sì, si compie un inizio nuovo di umanità rigenerata nell’amore.

Dopo questi fatti, l’evangelista ci apre alla conoscenza di un’altra scena, altrettanto scaturita dal suo innalzamento sulla croce. Anche questa si spiega solo a partire dall’amore. Due discepoli “nascosti”, un po’ titubanti, ma che si erano messi alla ricerca di Gesù – Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo – chiedono di togliere dalla croce il corpo di Gesù. La scena è di una commozione estrema: due uomini che curano, accarezzano, ungono e profumano quel corpo. Sì, un’umanità nuova che si manifesta a seguito dell’innalzamento di Gesù sulla croce.

Condivido con voi un commento, scritto da una monaca, perché quanto abbiamo rivissuto in questa celebrazione ci immetta in quei germogli d’amore che la Pasqua di Gesù continua a dischiudere oggi nel mondo:

«Giuseppe e Nicodemo, immagine della chiesa che accoglie il corpo del suo Signore, entrano nella Pasqua grazie a gesti di grande umanità: il Dio della vita si incontra nella cura degli uomini, nel rispetto dei loro corpi tempio della presenza divina. Gesti semplici ma che chiedono un atto di coraggio: la fede professata di nascosto, la ricerca di Gesù fatta nel buio, devono venire alla luce e assumere il rischio dell’amore. Chiedendo il corpo di Gesù e ungendolo, i due uomini iniziano a vivere ciò che Gesù stesso ha vissuto: la libertà di una parola franca, ma soprattutto un amore concreto, l’unico più saldo di qualsiasi paura. Perché l’amore autentico è più forte della morte ed è sempre rivolto a un corpo che domanda atti di cura concreti» (Chiara di Bose, 2 aprile 2021).