Te Deum laudamus

Omelia di fine anno civile nella solennità Maria Madre di Dio
31-12-2020

Nm 6,22-27; Sal 66 (67); Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

Con il cuore trepidante e stupito di Maria, che veneriamo come Madre di Dio, questa sera siamo qui con il suo Magnificat e il nostro Te Deum laudamus.

Sì, questa sera dal nostro cuore tormentato sgorga un sentimento di gratitudine. Abbiamo mille ragioni per non farlo: tutto ciò che ci ha investito travolgendoci in questi mesi. Penso a quello che ci ha lacerati più profondamente: il fiato che manca, la morte solitaria, le città deserte, gli isolamenti prolungati nelle nostre case, la scuola chiusa, gli ospedali trasformati e riempiti, i posti in terapia intensiva che scarseggiavano, i medici e gli infermieri messi a prova disumana…

Lo scorso anno non potevamo immaginare ciò che poco più di un mese dopo scombinava tutta la nostra vita e imponeva un altro modo di considerare e di attuare i rapporti tra noi. Il mondo stesso nella sua pretesa di globalità e di assolutezza si è trovato in un anno zero, come a dover ricominciare tutto.

Ed ora, ecco: nonostante tutto ricominciare!

È questo l’estremo e il più coraggioso motivo per osare e ispirare, in questa Eucaristia, un silenzio di fiducia, un abbandono di gratitudine, un sospiro di speranza, un abbraccio interiore di fraternità, un’attesa di bene, una preghiera di invocazione…

Il Signore della vita, che in questi giorni natalizi abbiamo ritrovato “avvolto in fasce in una mangiatoia” tra la cura di una madre e la protezione di un padre, anche Lui sembra averci lasciato con un vuoto. Abbiamo dovuto ricominciare anche con Dio, con Lui che mai ha smesso di ricominciare con noi.

Siamo qui non tanto per chiudere un anno in cui “non ci è andata bene”, tantomeno a dirci di dimenticare un “anno così orribile”.

Siamo qui per ricominciare a sillabare la vita, ad apprenderla nei suoi inizi, ad imparare i suoi sospiri, a percepire il suo alito, a custodire e proteggere il suo parto.

Nella pretesa e presunzione di avere tra le mani tutto del suo mistero affascinate, ci siamo scoperti vulnerabili della vita stessa, in realtà lontani dalla bontà e bellezza del suo dono. La vita ha altre fonti, altri spazi, altri tempi, altri ritmi rispetto al nostro potere su di essa e alle nostre manomissioni.

Questa sera nell’abbandonarci al senso della gratitudine, senza condizioni, fiduciale, libera, pura, intendiamo abbracciarci interiormente nutrendo il desiderio e assumendo l’impegno a sillabare la vita, a ricominciare dai sui inizi, coltivandone tutti i germogli che appartengono a tutte le età dell’esistenza, cercandola nella verità di ciò che è semplice, autentico, vero.

Tutto questo sarà possibile in un mondo rinnovato nella fraternità. Non avremo una vita migliore senza la ricerca disinteressata di una fraternità a cui mai rinunciare, neppure quando questa ci viene sottratta o si frantuma. La sua ricerca ancora è l’habitat della vita che Dio ci ha partecipato e donato.

Lo auguro di cuore a tutti voi, in particolare a chi si trova più ferito e più messo alla prova. Pensiamo anche alla popolazione della vicina Croazia che ha conosciuto in questi giorni la prova e la sofferenza del terremoto.

Lo auguro a chi è unito a noi nella preghiera attraverso la televisione, la radio, gli altri mezzi di comunicazione.