Un gesto di cura amorosa

Celebrazione della Passione del Signore - Cattedrale di Belluno
15-04-2022

Is 52,13-53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

«Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania» e fu ospitato nella casa di alcuni amici: Lazzaro a cui aveva ridato la vita, Marta e Maria. Gesù cerca consolazione in quell’ospitalità. L’evangelista narra che a motivo della vita ridonata a Lazzaro, Gesù avrebbe dovuto essere denunciato e poi arrestato. Comprendiamo il suo cercare il calore di una casa e l’affetto di alcuni amici.

Avviene qui la scena che permette a Gesù di avvicinarsi al mistero della sua morte. Maria cosparge i piedi di Gesù con «trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso» poi li asciuga con i suoi capelli – immaginate quanta commozione tale scena suscita nell’intimo di Gesù. Giuda Iscariota contesta il suo eccesso di amore. Allora Gesù gli dice: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura» (Gv 12,7).

Nell’ultima scena del racconto della passione, appena proclamato, ritorna un gesto di cura amorosa. Giuseppe d’Arimatea tira giù dalla croce il corpo di Gesù. L’evangelista dice: «Lo prese» e sembra avvertirci che lo abbracciò. Lì è pronto Nicodemo con «circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe». Entrambi prendono e abbracciano il corpo di Gesù, lo avvolgono «con teli, insieme ad aromi». Ora Gesù è pronto per essere deposto lì vicino, in un giardino dove vi è «un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto».

Non dimentichiamo mai questa storia di affetti, di amicizia, di amore, di cura! Spesso l’abbiamo rimossa, considerata marginale con gesti secondari. E, invece, comprendiamo che così Gesù ha imparato a morire sulla croce, raggiunto e sorretto non da eroi o da potenti, ma da donne e uomini che lo avevano considerato molto nel loro cuore, anche se non erano i primi tra i discepoli.

È decisivo per noi che attorno alla croce non ci sia solo il tradimento di uno dei discepoli, il rinnegamento di un altro, l’invidia e l’odio degli uomini di potere religioso e amministrativo di allora, l’abbandono da parte della maggioranza dei discepoli, l’inganno in cui la gente precipita urlando: “Crocifiggilo”, l’ingiustizia e la violenza che si alleano contro chi fa il bene.

Tra Betania e il Gòlgota ci sono pochi chilometri di strada, ma sono ricamati di piccoli amori che riscaldano il cuore, di una sollecitudine intensa che si compone in una trama di umile fedeltà, di affetti sinceri che consolano l’animo colpito e disfatto di Gesù.

In questo breve tempo e in questo ravvicinato spazio – ci ha detto ieri sera l’evangelista – Gesù aveva amato «i suoi che erano nel mondo, e li amò sino alla fine» (Gv 13,1). Ed ecco, lì, c’è il suo lavare i piedi agli apostoli.

Gesù non ci ha lasciati in balia dei nostri mali che anche in questi giorni imperversano. La sua croce non segna l’abbandono da parte sua del mondo. Egli non fugge da noi. Sulla croce Gesù non sale per far vincere il suo potere, ma per darsi a noi. A Pilato Gesù dice: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».

Gesù morendo non ci ha lasciato a mani vuote, poiché ci ha dato la sua vita. La nostra storia non è più senza amore, perché egli lo ha seminato e raccolto per noi e con noi.

Dalla lettera agli Ebrei abbiamo ascoltato: «Egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia».

Con Lazzaro, Marta e Maria, nella casa di Betania, poi con Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, dallo sprofondamento della sua morte, Gesù ha lasciato tra le nostre mani il suo amore, il suo corpo. E non dimentichiamo che dagli inferi di questo nostro mondo e dalle oscurità di questa storia a cui apparteniamo, egli risorge e rigenera ogni creatura. Per questo siamo qui ad adorare quella sua croce che è un parto di vita!