Un tempo le piante erano prive di fiori e le popolazioni non conoscevano i colori e i profumi dei petali. Una bellissima ragazza di nome Kospi viveva con il suo popolo nomade che viaggiava attraverso una terra conosciuta come Patagonia. Essi si accampavano negli stessi siti mentre viaggiavano da un luogo all’altro.
Un giorno, Kospi e la sua gente erano accampati presso un bellissimo posto sulle rive di un lago glaciale. Montagne innevate torreggiavano su di loro, circondando quella terra remota pressocché inabitata. Era la fine dell’estate e i colori della foresta stavano cambiando. I giorni trascorrevano calmi, e il cielo e le montagne si riflettevano sul lago simile a uno specchio, così che mentre Kospi vagava per la riva, le sembrava di essere in due mondi contemporaneamente, uno sopra e uno sotto, riflesso. Mentre il sole tramontava, il mondo sembrava essere in fiamme di bellezza, e gli spiriti che abitavano quel luogo tremavano di gioia.
Come tutte le donne della sua tribù, Kospi passava quotidianamente molte ore a lavorare con pelli di animali, impastandole tra le dita per ammorbidirle, poi cucendole insieme e dipingendole coi disegni della sua famiglia. Ella lavorava come i suoi antenati per secoli, tessendo fasce, coperte e stivali. In quei giorni il lago era calmo come a fine estate, per cui Kospi lasciava il suo lavoro per andare sul bordo dell’acqua e sedersi lì a contemplare il riflesso di quel mondo radioso.
Ma un giorno tutto fu sconvolto. Kospi si sedette sul bordo del lago pettinando i suoi lunghi capelli scuri e cantando le storie del suo popolo, quando improvvisamente sentì il suono ruggente del signore delle montagne, Karut, il Tuono, dietro di lei. La ragazza balzò in piedi, spaventata, ma era troppo tardi per correre. Karut, che aveva la fama di essere sempre arrabbiato, scontroso, rabbioso, furente, in verità aveva un cuore facile a commuoversi. Vedendo la giovane, in maniera fulminea se ne innamorò. Temendo che la ragazza lo rifiutasse, la rapì e, rimbombando nel cielo, la portò in cima alla montagna, all’interno di un crepaccio segreto di un ghiacciaio, e lì la nascose.
La povera ragazza, terrorizzata, urlava con tutte le sue forze, gridando al suo popolo di salvarla, ma quelle montagne erano vaste e, per quanto forte urlasse, nessuno poteva sentita. Per mesi gli uomini della sua tribù la cercarono, perché tutti la amavano e avevano il cuore spezzato dalla sua scomparsa. Tutto quell’autunno la chiamarono, ma le loro grida si perdevano tra i giganteschi alberi delle foreste che attutivano il suono.
Kospi, più che per il freddo, soffriva per la nostalgia e la disperazione. Rannicchiata nel terribile freddo di quelle montagne, esausta, finalmente si addormentò. Mentre dormiva, si congelò, diventando un pezzo di ghiaccio e fondendosi con l’intero ghiacciaio. Così rimase per tutto l’autunno e per tutto quel lungo inverno.
Un giorno Karut tornò a trovare la sua bella prigioniera e, vedendo che era sparita, si arrabbiò, lanciando urla disperate. Quell’insolito frastuono fu udito fino ai confini col mare. Attirò un sacco di nuvole, che si misero a versare pioggia senza tregua sulla cima del monte, fino a sciogliere completamente il ghiacciaio. Così anche la ragazza si scongelò trasformandosi in acqua gocciolante lungo il fianco della montagna. Scesa a valle, si unì alle acque dell’intero ghiacciaio divenendo un torrente impetuoso. Il flusso delle acque scese dal monte e inondò le valli verdeggianti riempiendone il terreno, che già sentiva il calore della stagione nascente.
Arrivò la primavera e dal profondo della terra il cuore della ragazza rapita avvertì il desiderio, come un tempo, di vedere la luce del giorno, di farsi accarezzare dalla brezza del vento, di contemplare il cielo stellato. Lo spirito della giovane risalì lentamente attraverso le radici delle piante, su per il loro fusto, fino a sporgersi sulle estremità dei rami sotto forma di boccioli e poi di affascinanti petali variopinti.
Fu così che nacquero i petali dei fiori e la terra si riempì di profumi, di bellezza e di allegria. Tutto fu più bello e più gioioso. E fu per ricordare tale evento che gli abitanti del luogo chiamarono Kospi i petali dei fiori.
La parabola, raccolta nel sud della Patagonia argentina tra gli indiani “Tehuelche”, spiega il perché quelle popolazioni chiamino “Kospi” i petali dei fiori. Si dice che l’arte di Kospi si sia manifestata dando colore ai fiori del luogo, dalle Orchidee ai cespugli di Neneo, alle Palomite, ai Lupini, alla Mutisie e ai fiori gialli del Calafate. Dicono che Kospi si sia mostrata in quelle forme per vegliare per sempre sul suo popolo, tappezzando la campagna con un incantevole manto profumato e rinnovandosi a ogni primavera.