In un piccolo borgo di montagna arrivò un forestiero. I montanari lo accolsero con una certa benevolenza, nonostante fosse cristiano e venisse a predicare una religione che il loro sacerdote aveva definito blasfema. Buono e umile, il forestiero si attirò le simpatie di tutti, benché nessuno desse retta alle cose ridicole e impossibili che predicava: che gli dèi agresti ai quali si facevano lustrali sacrifici e che proteggevano i campi in realtà erano un’impostura, che gli uomini erano uguali e fratelli fra di loro, che esisteva un solo Dio il quale era stato sulla terra povero ed era morto crocifisso…
Il sacerdote di Pale, divinità protettrice degli allevatori e del bestiame, era un uomo burbero, che pretendeva le decime con modi bruschi e castigava con flagelli d’ogni genere i paesani avari con lui. Odiava il forestiero in modo esagerato e avrebbe voluto che tutti lo trattassero come un cane rognoso, ma i paesani non vi riuscivano.
Un giorno il cristiano acquisto un pezzo di terra e, da solo, cominciò la costruzione d’una chiesetta. Con pazienza, il tempietto veniva su leggero, elegante, con accanto un minuscolo campanile stretto e aguzzo. Era un piacere guardare quell’edificio, così semplice e così bello! Peccato che sarebbe stato dedicato a un dio falso, come diceva il sacerdote di Pale.
Finito il tempietto, l’omino cominciò a dipingerne le pareti, ritraendo figure di Santi che parevano vive, su fondali tratti dal panorama locale. Così i paesani a poco a poco videro riprodotti i luoghi più suggestivi dei dintorni: il poggio sul torrente che spaziava sui vasti orizzonti, i prati dolcemente declinanti verso le sorridenti azzurrità del lago, il loro villaggio che consisteva in un pugno di case aggrappate al monte, come un piccolo gregge.
Intanto il sacerdote di Pale bruciava di sdegno. Quella simpatia dei paesani verso lo straniero, quel loro bazzicare nei pressi del tempio sacrilego sia pure per curiosità, quelle prediche del “cristiano” che in fondo in fondo non erano sdegnate, il fatto che i contadini fossero diventati più tirchi con gli dèi. Insomma, bisognava rimediare a quella pericolosa situazione. Finché il cielo non gli venne in aiuto.
Un pomeriggio si levò un nuvolone iracondo e piovve a rovesci, tra lampi e tuoni: sembrava la fine del mondo. Poi grandinò e in breve la campagna fu spaventosamente pestata, addio raccolti! Mentre tutti gemevano, il sacerdote di Pale si fregò le mani dalla gioia. L’indomani convocò tutta la comunità e, con iraconda voce, cominciò a strapazzare tutti. Perché avevano tollerato che in quelle terre, sacre da tempi immemorabili ai benefici degli agresti, sorgesse il tempio di un dio sconosciuto? Perché non avevano cacciato subito quell’omino che ora dipingeva figure di demoni e contaminava le loro terre associandole, nei suoi affreschi, a un culto straniero? Se avessero continuato a tollerare simile contaminazione, gli dèi, già offesi e crucciati, avrebbero rincarato la dose. Bisognava allontanare il cristiano e distruggere il tempio sacrilego.
I paesani riconobbero che il loro sacerdote aveva ragione e s’infiammarono di sdegno. Fra urla e imprecazioni, si diressero verso il tempietto cristiano. L’omino aveva appena finito una grande figura di San Pietro in atto di predicare con un grosso bastone pastorale in mano. La testa dell’Apostolo poggiava su un gran corpo robusto e membruto. La turba vociante dei paesani fece impeto nella chiesuola. Il sacerdote di Pale vuotò il sacco e gli altri, sempre più minacciosi, agitavano arnesi e bastoni. Il sacerdote sollevò il braccio per menare la prima botta, ma il bastone gli restò sollevato in aria, mentre il suo volto si stupiva. Il San Pietro del quadro, mossosi come persona viva, balzò dal dipinto e si precipitò in mezzo alla turba, mulinando il suo pastorale come una clava e procurando bernoccoli grandi come la grandine dei giorni precedenti. Il sacerdote di Pale ne prese più di tutti e corse giù per la gran china che divallava sino al lago. San Pietro poi risalì nel dipinto e riprese la sua posa come mai si fosse mosso.
A quel punto – termina la parabola – dopo la predicazione muta ma tanto efficace dell’Apostolo, le cose cambiarono radicalmente per il nostro omino. I paesani capirono che tra gli dèi del loro sacerdote e il San Pietro della chiesuola vi era una bella differenza. Fu così che caddero i simulacri degli dèi millenari e la Croce di Cristo s’innalzò trionfante sul villaggio alle pendici dei monti che si specchiano nel Lago Maggiore. Tale pittore che dipingeva santi così lesti di mano e che converti all’autentica fede i montanari delle prealpi lepontine, era San Giulio, per il quale viva è tutt’ora la venerazione in quelle terre.