In un borgo di montagna, dal piccolo campanile il richiamo delle campane stava avvertendo i paesani che l’ora della preghiera era vicina. Da ogni parte i montanari si mossero verso il tempio, tralasciando le loro occupazioni quotidiane. Era domenica, il giorno in cui il Signore voleva avere con sé tutti i suoi figli, nella Sua Casa, ad ascoltare le parole di vita, ad assistere al Sacrificio della Santa Messa. Chi avrebbe osato non ascoltare il richiamo del Signore, disertando il tempio?
La voce squillante della campana, pur attutita dalla lontananza, giunse all’orecchio di un cacciatore, mentre saliva un ripido canalone. L’uomo si fermò un istante come se avesse udito un richiamo imperioso e nel cuore sentì il rimorso del peccato che stava compiendo: a caccia in un giorno di festa, trascurando il dovere del buon cristiano di riposarsi e di ascoltare la Messa! Eppure, sentiva che sarebbe andato avanti comunque e che il rimorso si sarebbe placato quando avesse visto nel mirino del suo fucile il dannato camoscio che da più giorni l’ossessionava. C’era un conto aperto fra lui e quella dannata bestia che sembrava prendersi beffe del cacciatore, lasciandolo avvicinare, per poi balzare via in un guizzo, agile e leggera.
Quella mattina il cacciatore si sentiva in forma. Toccò la gelida superficie del ghiacciaio sostò ansante presso un masso. Fra poco sarebbe cominciata la caccia e doveva catturare quel dannato animale a ogni costo. Era in gioco la sua reputazione. La sera prima aveva urlato all’osteria: «Fosse anche il diavolo, la bestiaccia domani sarà appesa in casa mia!». Tutti l’avevano guardato con rispetto, conoscendolo uomo di parola e abile cacciatore. La carezza del sole stava animando il ghiacciaio di strani rumori: crepitii e schianti improvvisi, cadute di sassi nei canaloni, gorgoglii di cascatelle, mormorii d’acque profonde. A un tratto il cacciatore avvertì un galoppo seguito da un rovinio di pietre. Sopra una roccia, nitidamente stagliato sul bianco d’un nevaio, apparve il camoscio, un gran maschio dalle membra poderose e scattanti, con agili corna sul capo. Immobile, annusava l’aria, come se qualcosa l’avesse insospettito. Forse sentiva la vicinanza del nemico. Il cacciatore non osava muoversi per non vederlo dileguare d’un balzo.
A un certo punto il camoscio volse il muso verso il cacciatore. I due stettero a osservarsi intensamente, quasi a misurare le loro forze. Poi la bestia spiccò un immenso balzo, scomparendo. Allora cominciò la caccia, implacabile. L’esperto cacciatore cominciò ad arrampicarsi per i costoni, a lasciarsi scivolare per i canaloni, a balzare da un masso all’altro, cercando di supplire con l’intelligenza al divario di velocità che esisteva fra i due. Il camoscio sembrava prendervi gusto: mai si dilungava di troppo; consentiva al cacciatore di avvicinarsi, ma quando la botta del fucile stava per partire si poneva fuori tiro.
La mattinata passò così, fra estenuanti corse fra picchi e ghiacciai, strapiombi rocciosi e sfuggenti canaloni. Finché il camoscio non si trovò stretto fra la parete a picco e un abisso, e, mentre stava per tentare un disperato salto, il cacciatore sparò. La bestia si accasciò, con la testa ciondoloni e le zampe in aria.
Il sole del meriggio cadeva a picco sulle rocce della montagna, quando il cacciatore cominciò la discesa verso valle; impresa assai ardua, sia per la strada difficile e accidentata, sia per la preda che pesava da schiantar le spalle. Ogni tanto il montanaro doveva fermarsi per prendere fiato. All’ultimo raggio di sole il cacciatore non ne poteva più. A quel punto, gettando il camoscio a terra esclamò: «Bestiaccia! Tu pesi più del diavolo!».
In quell’istante, dall’interno della bestia balzò fuori il diavolo in persona. Scoppiando in un’orribile risata disse al cacciatore che stava tremando come una foglia: «Tu hai trascurato la Messa per prendermi e ora sarò io a prenderti e a portarti all’inferno!».
L’uomo si gettò in ginocchio e, levando occhi e mani al cielo, urlò: «San Giorgio, aiutami tu presso il Signore!». Il diavolo s’infuriò. Pestò un piede a terra e aprì una voragine dalla quale sbuffò una fiammata e in essa si tuffò.
Quando il cacciatore riprese le forze, si diede a correre a più non posso, come se il diavolo gli fosse alle calcagna. Arrivò al paese che era notte fonda, si precipitò all’osteria dove i paesani lo aspettavano e raccontò loro la sua tremenda avventura.
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La parabola – raccolta nelle valli di Lanzo in Piemonte – precisa: «Da quel giorno quel cacciatore, per precauzione, non perdette mai più la Santa Messa in occasione di ogni festa comandata». San Giorgio rappresenta l’eroe radioso che uccide il drago (simbolo del diavolo), la vittoria della santità sulle forze del male.