A cura di don Ezio Del Favero

157 – I progenitori e l’orso

«Adesso non dovrete avere più paura! Ma non ricadete nel peccato, altrimenti verrà un nuovo diluvio»

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Un tempo, il popolo era diventato così numeroso che finì per mangiare tutto il pesce e la selvaggina che esisteva. Mancando il cibo, gli uomini cominciarono a comportarsi peggio delle bestie feroci, diventando così perfidi che il Grande Spirito mandò sulla terra un tremendo diluvio. Tutti gli esseri viventi furono annientati, salvo una donna e un uomo che trovarono rifugio sulla vetta di una montagna e lì rimasero finché il diluvio non cessò.

Dalla donna e dall’uomo in cima al monte nacquero delle creature che camminavano a quattro zampe, vivevano in rifugi naturali e mangiavano tuberi e radici estraendoli con le dita essendo senza attrezzi. Non avevano né fuoco né abiti e soffrivano il freddo. Le tribolazioni del nuovo popolo crebbero quando un orso gigantesco e malvagio giunse dal sud: era enorme, fortissimo, e aveva poteri speciali. Con i suoi occhi di fuoco lanciava dei sortilegi a chiunque gli passava vicino impedendogli di muoversi e poi lo divorava.

Manitù, il Grande Spirito, provò compassione per quel popolo disgraziato e si disse: «Gli abitanti della terra sono già stati puniti abbastanza con il grande Diluvio. Ora li aiuterò!». Chiamò l’Uomo-Spirito che viveva sulle montagne e lo inviò sulla terra. Costui aveva il viso lucente come il sole, la sua voce era come quella dell’Uccello del Tuono, era armato di arco e frecce e aveva grandi poteri.

Giunto sulla terra, chiese agli abitanti del grande popolo: «Perché siete così tristi e disperati?». «È a causa dell’orso gigantesco che ci perseguita», gli risposero.

«Vi aiuterò», promise l’Inviato. «Come?», gli chiesero. «Anzitutto vi insegnerò a camminare eretti, invece che a quattro zampe, così potrete fuggire più in fretta».

Fatto questo, l’Uomo-Spirito tornò dal Grande Spirito a prendere altri ordini e quando ridiscese sulla terra, portò molti doni. Radunò il popolo e disse: «Questo è il primo di tutti i raduni indiani, una festa di celebrazione dei doni. Si chiamerà “potlatch” e sarà una cerimonia rituale con un banchetto, durante la quale saranno stipulate o rinforzate le relazioni gerarchiche tra i vostri gruppi grazie allo scambio di doni».

Così l’Uomo Spirito cominciò a distribuire i doni che aveva portato. Ai giovani dette archi, frecce e lance e insegnò loro come usarli. Ai vecchi insegnò come costruire le canoe con tronchi di cedro e come fabbricare arpioni e reti per pescare a bordo di quelle canoe; alle ragazze insegnò come fare abiti con l’interno della scorza degli alberi, come dipingersi il volto e ungersi i capelli per apparire più belle, come cantare e danzare. Alle donne più anziane insegnò come scavare le radici, come fare il fuoco sfregando insieme due legnetti, come cucinare, come portare un carico sulla testa…

Terminata la sua missione, l’Uomo-Spirito fece appello a tutti i suoi poteri per annientare l’orso malvagio. Mise sette frecce nella faretra, chiamò gli uomini della tribù e, per tutta la giornata, il gruppo cantò in cerchio intorno al fuoco per rendere più potenti le frecce. Poi l’Uomo-Spirito prese una freccia e la conficcò nel terreno, al centro di una pianura. Dopo avere camminato per mezza giornata in direzione della tana dell’orso, piantò una seconda freccia. Camminò un’altra mezza giornata, sempre nella stessa direzione, e piantò una terza freccia. Continuò così finché non ebbe piantato sei frecce lungo una linea diritta che portava alla tana dell’orso. Infine, con la settima freccia in mano, si presentò davanti all’orso. La terribile bestia tentò di lanciargli un incantesimo con i suoi occhi di fuoco, ma non ebbe alcun effetto su di lui. Poi l’Inviato lanciò la settima freccia contro la belva, la colpì e subito fuggì via, verso il punto in cui aveva piantato la sesta freccia. L’orso, ferito, lo inseguì. Lui lo colpì con la sesta freccia e si precipitò là dove aveva piantato la quinta. L’orso continuò a inseguirlo e venne di nuovo colpito. I due continuarono, l’uno a fuggire l’altro a inseguire, finché non giunsero sul luogo dove era piantata la prima freccia. Allora l’Uomo-Spirito si fermò, la raccolse, prese bene la mira e la scagliò nel cuore della belva che si accasciò a terra priva di vita.

Infine, il Salvatore tornò dal popolo e annunciò: «Adesso non dovrete avere più paura! Ma non ricadete nel peccato, altrimenti verrà un nuovo diluvio». E tornò nella sua casa sulle montagne.


Termina la parabola raccolta tra gli indiani d’America: «D’allora gli uomini del grande popolo vissero tranquilli. Avevano fuoco per riscaldarsi e cuocere il cibo, abiti, strumenti e armi per difendersi e, per tutto questo, non dimenticarono mai di ringraziare il Salvatore, l’Inviato che il Grande Spirito aveva mandato sulla terra per aiutarli».