In un luogo montano, oggi tra i più inospitali e selvaggi delle Alpi, all’interno di alcune caverne si possono ammirare dei misteriosi segni e caratteri lasciati sulle rocce da un popolo ignoto…
Un tempo, lì vi era una ricca vegetazione, resa fertile dalle acque freschissime dei numerosi torrenti. Dolci clivi erano rivestiti di frutteti e di rigogliosi orti accanto alle baite ben curate e piene di fiorellini abitate da gente felice. Mandrie di bestiame pascolavano pacifiche fra le vaste praterie del fondo valle. Perfino l’inverno era mite e senza venti. La neve incappucciava le montagne, ma non scendeva copiosa nel paese. Nessuno sapeva maneggiare le armi, perché non esistevano nemici. La grande muraglia delle montagne proteggeva quel popolo dalle invidie e dalle cupidigie di altre popolazioni.
In quel paese regnava una nobile regina; come fata benefica donava pace e prosperità alla popolazione, ponendo a base del suo potere libertà, giustizia e virtù. In quel luogo non esisteva il denaro e ognuno scambiava con i conterranei i prodotti della terra e del bestiame a seconda del bisogno. L’oro e l’argento, che abbondavano nei giacimenti, non erano neanche presi in considerazione in quanto non adatti a forgiare gli arnesi di lavoro. Così nessuno si dava la pena di scavare per raccogliere quei tesori.
Però, la dolce vita di quella valle meravigliosa era turbata dal fatto che in una contigua vallata c’era un altro piccolo regno, proprio all’opposto: lì non vi erano pascoli o coltivi ma rocce inospitali e rovinose; non baite ben curate con i fiorellini ma antri e caverne come abitazioni; non pacifici e operosi abitanti ma lerci e feroci figure. Era quella la terra delle streghe la cui regina, dall’orribile figura, regnava su di una cenciosa masnada di ripugnanti femmine e di sconci e deformi uomini. Di tanto in tanto in quel luogo si celebravano spaventose tregende, ovvero riunioni notturne, alle quali convenivano streghe e maghi da ogni dove. Queste tregende erano presiedute da Belzebù in persona che si manifestava sotto forma di un grande uccellaccio con un enorme becco, dal nerissimo vello e dagli occhi sprizzanti scintille di fuoco.
La regina Vernasca (così si chiamava la strega) odiava Alba, la regina della valle meravigliosa, con l’odio tipico della gente non virtuosa, e sempre si arrovellava e si rodeva pensando alla felicità del regno confinante. Ma il potere di Alba era superiore al suo, per cui all’empia strega non restava che macerarsi di rabbia e di impotente rancore.
Un giorno, la strega salì sulla vetta di un monte e di lassù contemplò il regno della rivale. Mentre in quel luogo nevi e ghiacci si estendevano per ogni dove, la valle delle Meraviglie splendeva di una ridente primavera. Fiori di ogni grandezza e di ogni colore ravvivavano i dolci clivi e le piane serene, ove si muovevano greggi numerose e spumose di lana. Nei campi, bruni di feconda terra, avanzavano gli aratri e gli erpici trainati dal lento procedere dei buoi. Le piccole baite, linde e graziose, parevano sorridere alla grande pace circostante, sotto la carezza del sole, che traeva dalle rocce, ricche di oro e di argento, sfavillii di gemme.
Vernasca guardò intensamente la dolcissima scena e la sua bocca, contorta in un grugno di furore, urlò un grido di maledizione con tutta l’intensità del suo odio.
Immediatamente, un nuvolone nero di tempesta nascose il sole e una lunga folata gelida sconvolse i serpentini capelli della strega. Un belato orrido come la sghignazzata d’un gufo, le percosse le orecchie. Si voltò e vide sopra un macigno un enorme becco nero che la guardava intensamente con un paio d’occhi che sembravano carboncini. Era lui, il principe delle tenebre! Vernasca cadde in ginocchio, tremando di terrore. Il Diavolo le disse: «Tu sei la mia figlia prediletta, perciò voglio fare qualcosa per te. Parla dunque e sarai accontentata!». La strega, senza osare alzare gli occhi, indicò con una mano la valle delle Meraviglie e ringhiò con la voce convulsa dalla rabbia: «Laggiù, laggiù… voglio che tutto scompaia, che tutto diventi morte e desolazione!».
«Sarai accontentata, figliuola. Quel regno scomparirà, basta che tu segua il mio consiglio. Avvicina l’orecchio e ascolta…». Quando Belzebù ebbe finito di parlare, Vernasca assentì ripetutamente, con gli occhi sfavillanti di satanica gioia. Rivolse il volto sul gran vallone offuscato dalle nubi di tempesta, e gridò: «È giunta la tua ora!». Poi si voltò per ringraziare il suo signore, ma si ritrovò sola…
(continua)
La parabola – raccolta nella Val Roia (al confine tra Francia e Piemonte) – narra l’atavica lotta tra bene e male. È un racconto eziologico che narra l’origine di misteriosi segni e caratteri lasciati sulle rocce…